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Emanazione e Trinità. Analisi dell’esegesi eckhartiana di Genesi 1.1 (3)

Emanazione e Trinità. Analisi dell’esegesi eckhartiana di Genesi 1.1 (3)

Gen 26

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3. Esegesi eckhartiana di Genesi 1.1

3.1. Premessa

Innanzitutto, prima di cominciare direttamente ad analizzare passo per passo l’esegesi eckhartiana del primo versetto del Genesi, una breve premessa. Quella che mi appresto qui ad affrescare è una piccolissima parte dell’esegesi che attua Eckhart nel Liber Parabolarum Genesis, che egli stesso considera il suo secondo commento al Genesi [1]. In questa operazione, delicatissima se seguiamo lo spirito eckhartiano poiché «è come se estraessimo miele da favi reconditi» [2], mi scuso anticipatamente per le lacune dovute alla mia finora relativamente scarsa conoscenza del pensiero eckhartiano, e anticipo, in quella che vuole essere un’avvertenza, che mi soffermerò, come già detto, su due temi che emergono e che cercherò di analizzare nel particolare: emanazione e Trinità, poiché, afferma Eckhart nel Prologo,

In esse [nelle Scritture, N.d.R.] vi si trovano racchiuse anche le virtù e i principi delle scienze, […] e inoltre la santissima emanazione delle Persone divine con la loro proprietà, la loro distinzione sotto e in una unica essenza, un unico essere, vivere e pensare. Da ciò anche la produzione delle creature, che ne deriva come da un’immagine esemplare, e come in ogni opera della natura, della vita morale e dell’arte risplenda il Padre ingenerato, il Figlio generato soltanto dal Padre, l’amore essenziale che li accompagna e l’amore nozionale – lo Spirito Santo, che spira ovvero procede con un solo principio dal Padre e dal Figlio – nel modo che si mostrerà già nel primo capitolo del Libro delle parabole della Genesi [3].

Oltre ai grandi temi ai quali accennerò, nel Prologo Eckhart accenna brevemente, e io non posso non soffermarmi un attimo su di essa, alla propria “dottrina dell’immagine”, secondo la quale l’uomo possiede l’immagine della Trinità nell’anima, che consiste in una certa espressione di se stesso senza volontà e conoscenza [4], puro intelletto che va formandosi attraverso un’emanazione formale [5], una delle tesi sulle quali si è fondata l’accusa di eresia e che ben poco, secondo Sturlese [6], ha a che fare con la mistica. Quello che mi interessa in questa sede specificare riguardo a questa dottrina è il rapporto che viene a instaurarsi fra essa, la dottrina dell’emanazione e il dogma della Trinità. Sono infatti correlate, poiché nell’immagine della Trinità nell’anima esiste

un rapporto di emanazione di se stesso a se stesso [7]

giacché il rapporto fra Trinità e anima, fra Dio e l’uomo, è un rapporto che assume i connotati di una processione (emanazione) per immagine, concetto mutuato anche da Dietrich di Freiberg, che a sua volta affermava chiaramente di averlo tratto da Proclo. Anche Sturlese è d’accordo,

abbiamo così la definitiva conferma del carattere neoplatonico della dottrina eckhartiana [8].

Il rapporto che viene a crearsi, dunque, è per Eckhart lo stesso tipo di rapporto che esiste fra un ramo e l’albero da cui spunta, di cui porta nome ed essenza, e del quale è espressione [9]. Non bisogna fare però l’errore di ripensare Eckhart in termini agostiniani. Sopra, ho accennato in estrema sintesi alla concezione agostiniana per cui vi sia analogia tra la Trinità e le tre funzioni dell’anima: memoria, intelligenza, volontà. Eckhart non intende questo. Se ne distacca completamente poiché insiste sulla non creaturalità dell’immagine, che si trova in un campo radicalmente altro rispetto al creato, si trova cioè nell’increato [10]. L’immagine dell’anima umana è però creata. Tuttavia è costituita dalla medesima essenza dell’immagine increata da cui procede, Dio, Trinità, e dunque è creata e increata allo stesso tempo. L’emanazione che avviene è intima, silenziosa, quasi come se in sé «si gonfiasse, bollisse» [11]. Esiste però, ed è necessaria, una differenza tra l’immagine-Verbum e immagine nell’anima: la prima è

immagine del Padre […] senza alcunché di accidentale, la seconda […] è immagine non del solo padre, ma della Trinità nel suo complesso [12].

Le conseguenze di quanto finora esposto sono chiare e, potrei quasi affermare, rivoluzionarie: Divino e Umano, alla luce anche della dottrina del Grunt, sono reinterpretati in un rapporto più radicale e intimo, un rapporto mai così stretto come ora e che ha le basi nei temi che per ora abbiamo solo toccato a latere, ma dei quali a breve ci occuperemo in toto, lasciando parlare direttamente l’esegesi di Eckhart. Che argomenta, giustamente, la sua radicale interpretazione in questo modo: un’esegesi radicale riflette il linguaggio della Scrittura stessa [13]. Tuttavia, questa radicalità non è andata gradita a tutti e gli storici dell’esegesi non sono stati molto gentili con il domenicano [14]. C’è stato infatti chi ha detto che Eckhart ha destoricizzato e decontestualizzato il testo biblico in sentenze, frammenti, o singole parole che ha poi ricombinato con altri passaggi in una densa ragnatela intertestuale attraverso un sistema di referenze incrociate [15], cosa peraltro non sbagliata, ma non così negativa, a parer mio. Per concludere questa breve parte introduttiva, prima di immergerci nel vivo di Eckhart esegeta, un paio di osservazioni finali: abbiamo detto che Eckhart riprende da Dietrich di Freiberg e rielabora l’idea dell’emanazione per immagine. Dietrich aveva fatto un’operazione simile all’intento programmatico di Eckhart che, ricordiamo, è quello di dimostrare le verità della Scrittura attraverso la ragione naturale dei filosofi [16], spostando la problematica dell’emanazione da un terreno teologico a quello filosofico [17]. Ora, questo “spostamento dell’asse” si verifica anche nell’esegesi di Genesi 1.1, alla quale preludo citando un frammento di una predica eckhartiana che penso possa meglio calarci nella sua esegesi:

Quando un ramo spunta da un albero, porta il nome e l’essenza dell’albero, e quel che esce è identico a quel che rimane all’interno e ciò che rimane all’interno è identico a ciò che esce. Così dico a proposito dell’immagine dell’anima. Ciò che esce è identico a ciò che rimane all’interno, e ciò che resta all’interno è identico a ciò che esce. Questa immagine è il figlio del Padre, ed io sono questa immagine [18].

Frammento nel quale si rinviene la metafora dell’albero, citata in precedenza e ripresa anche nel seguente sermone, proprio a proposito dell’emanazione e dell’emanazione della Trinità:

Le creature emanano in due modi: il primo modo avviene nella loro radice, come le radici producono l’albero. Il secondo modo di emanazione avviene secondo un modo unificante. Vedete, anche l’emanazione della natura divina si produce secondo due modi. La prima emanazione è quella del Figlio dal Padre; questa avviene a modo di generazione. La seconda emanazione avviene in modo unificante nello Spirito Santo: questa si produce nell’amore del Padre e del Figlio, che è lo Spirito Santo, giacché entrambi si amano in esso. Vedete, tutte le creature mostrano di essere emanate e fluite dalla natura divina, e ne portano un segno nelle loro opere. […] In Dio non c’è né tempo né spazio; perciò le Persone divine sono una cosa sola in Dio, e non vi è altra differenza che quella tra emanazione e emanato [19].

 

Note

[1] Spesso, infatti, scrive Marco Vannini (che ha curato l’edizione di Tutti i commenti ai libri dell’Antico Testamento di Meister Eckhart, Bompiani, Milano 2002) in una nota all’Introduzione del Liber, p. 409, il magister domenicano si riferisce ad esso con espressioni del tipo: «sicut diximus in precedente editione».

[2] Prologo, 1. Liber Parabolarum Genesis, in Meister Eckhart, Tutti i commenti ai libri dell’Antico Testamento, ed. cit., p. 421.

[3] Prologo, 3, in op. cit., p. 425.

[4] Cfr. L. Sturlese, Mistica o Filosofia? La dottrina dell’immagine di Meister Eckhart, in L. Sturlese, Eckhart, Tauler, Suso. Filosofi e mistici nella Germania medievale, Le Lettere (Giornale Critico della Filosofia Italiana. Quaderni 16), Firenze 2010, p. 53.

[5] Cfr. L. Sturlese, Ritratto di Meister Eckhart, in L. Sturlese, op. cit., p. 35.

[6] Nel saggio citato alla nota n. 20, a p. 55 Sturlese afferma: «Nella dottrina dell’immagine, come spero di mostrare appresso, la mistica c’entra poco o nulla».

[7] Sturlese, Mistica o Filosofia?, p. 59.

[8] Sturlese, Ivi, p. 70.

[9] Cfr. Sturlese, Ivi, pp. 58-59.

[10] Cfr. Sturlese, Ivi, p. 60.

[11] Serm. XLIX, 3, n. 511, LWIV pp. 425-526, citata in Sturlese, op. cit., p. 65.

[12] Sturlese, Ivi, p. 65.

[13] Cfr. D. F. Duclow, Meister Eckhart’s Latin Biblical Exegesis, in A companion to Meister Eckhart, ed. by Jeremiah M. Hackett, Leiden-Boston 2013, p. 332.

[14] Cfr. D. F. Duclow, cit., p. 321.

[15] Vedi Bernard McGinn, The mystical thought of Meister Eckhart, The Crossroad Publishing Company, New York 2001.

[16] Intento programmatico che esprime nel Commento a Giovanni.

[17] Cfr. Sturlese, cit., p. 70.

[18] Frammento Quint 16 a, citato in Sturlese, op. cit., p. 71.

[19] Sermone 47, da Meister Eckhart, I sermoni, a cura di M. Vannini, Paoline ed., Milano 2002, pp. 361-62.

 

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3 comments

  1. Complimenti per l’articolo su un tema, tra l’altro, molto difficile da trattare e condensare su qualche riga di blog. Volevo fare un breve appunto.

    Che in Eckhart siano presenti moltissimi elementi procliani derivato soprattutto dalla mediazione di Dietrich di Freiberg è indubbio. Altra cosa però è sostenere – come fanno Sturlese e altri (es. De Libera) e come viene qui riportato – che la tematica dell’immagine in Meister Eckhart derivi da Proclo e che la dottrina esclusivamente abbia un “carattere neoplatonico”.

    A me pare invece che sia Sturlese sia altri tendano molto a sottovalutare la componente agostiniana. D’altronde in quel periodo i testi di Agostino avevano una diffusione enorme nei monasteri, cosa che non può essere detta altrettanto per i libri dei platonici. A volte per cercare il pelo nell’uovo si rischia di non vedere l’uovo stesso. E questo discorso non vale soltanto per la fonte agostiniana, ma – ad esempio – per lo stesso Alberto Magno, che di certo è presente ampiamente in Eckhart e che – al contempo – non ha le medesime posizioni di Proclo. Ma sono convinto che su questo punto anche Sturlese sarebbe d’accordo.

    Cari saluti

  2. Gentile Andrea, innanzitutto grazie per l’interesse e la lettura approfondita del mio breve articolo, non avrei osato sperare nemmeno questo. Ma tu superi le mie aspettative, offrendomi anche un commento puntuale e perspicace. Grazie!
    Vengo ora al tuo commento: sostenere che la dottrina dell’immagine derivi da Proclo è sostenere quanto lo stesso Dietrich di Freiberg affermava, ribadendo la matrice procliana della sua dottrina, poi ripresa da Eckhart. Poi, e qui sono d’accordo con te, quella di Eckhart non ha “esclusivamente” carattere neoplatonico, ma indubbiamente un’impronta neoplatonica è ben presente.
    Per quanto riguarda Agostino, non posso pronunciarmi perché non ne so abbastanza: può essere che tu abbia ragione, certamente per quanto riguarda Eckhart si tende a sottovalutare la componente agostiniana che, forse, è più presente di quanto non sembri. Discorso che però non si può fare con Alberto Magno, perché quest’ultimo è, secondo me, ampiamente, come dici tu, presente in Eckhart. Naturalmente il maestro di Colonia non abbracciò le posizioni procliane, ma nemmeno Eckhart, che ne ha soltanto mutuato un concetto, declinandolo in qualcosa di nuovo. Tuttavia il dibattito è aperto.
    Un caro saluto!

  3. Ciao Sara, sì. Sono d’accordo con te. Complimenti per questa analisi (vedo che è uscita anche la quarta parte).

    PS: Qui c’è il mio blog: http://www.andreafiamma.blogspot.it/
    Sulla destra trovi la sezione “contattami” con un mio recapito. Se ti va, scrivimi.

    Cari saluti
    Andrea

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