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LOGICA FORMALE, APPUNTAMENTO 17: ANCORA IDENTITA’

LOGICA FORMALE, APPUNTAMENTO 17: ANCORA IDENTITA’

Mar 27

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Poiché forse vi è bastato nei post precedenti, allora per mia personal vendetta anche in questo parleremo d’identità e questa volta introducendo l’utilizzo del simboletto “=” (e del corrispettivo “≠”) nella formulazione del linguaggio predicativo. Perché questo? Perché quando Deva mi ha chiesto di formalizzare la nostra differenza come individui: padrone vs cane, nella contingenza su a chi toccasse l’ultimo biscotto; io non riuscii che a mettere insieme pochi simbolacci raccogliticci, casualmente affastellati… E intanto dalle sue ingombre fauci ricadevano umidi brandelli dell’oggetto del contendere in un rimestante rumor di sconfitta. È da allora ch’io sento nella bocca amaro il sapore di ciò che non ebbi e che spingo la mia mente nel tentativo di conoscere più a fondo la logica!

Nel nostro linguaggio comune utilizziamo per esprimere l’identità sempre il verbo essere, tale verbo ha però differenti significati nella lingua ordinaria, almeno due, e il primo è espresso nei seguenti esempi:

1) Fealoro è mortale
2) Homer Simpson è giallo
3) Dio è biondo

Come abbiamo già visto, in questi tre casi appena esposti il verbo essere viene usato per predicare una proprietà di un individuo e perciò il verbo essere viene anche detto “è” di predicazione. Potrebbero insorge dubbi sul fatto che Dio sia biondo ma di questo discuteranno nella prossima puntata di “Mistero”. In linguaggio formale i tre esempi sopra esposti vengono resi con

1) M(f)
2) G(h)
3) B(d)

Esaminiamo ora altri tre esempi:

4) Deva è il cane di ladror di follie
5) Il sole è la stella del sistema solare di cui fa parte la terra
6) Il Papa è Joseph Ratzinger

Osserviamo che in questi casi la “è” serve per indicare come l’espressione che la precede e quella che la segue sono la stessa cosa, sono infatti invertibili, questa “è” viene detta: di identità. Parlando rigorosamente la relazione di identità è la relazione che un soggetto intrattiene con se stesso, gli esempi “4”, “5” e “6” ne dovrebbero essere un’esposizione. Il fatto poi che due definizioni differenti siano di fatto identiche è un problema che travalica la logica formale in senso stretto e che qui non affronterò, ma il quale si potrà risolvere agevolmente per chi avrà la pazienza di leggersi tutto Hegel (in rari casi subentra una pazzia devastante ed inespugnabile). Si sappia che nella formalizzazione logica per esprimere “4”, “5” e “6” si utilizza il simbolo di “=” in luogo dell’ “è” di identità fra le due espressioni in questione. Nel caso di “5”, utilizziamo “d” per Deva, “c” per la relazione “essere il cane di” e “l” per “ladror di follie”; quindi avremo:

d = c(l)

Arriviamo quindi al punto asindotico di questo post con vivo trasporto emotivo… Per dire che due individui sono diversi si utilizza il simbolo “≠” che può essere derivato da quello di identità, in una espressione che per esteso recita “non si dà il caso che x sia identico a y”. Avremo allora:

xy =df ¬(x = y)

Dove ricordiamo che il pedice “df” significa “per definizione”.
Come ci ricorda il buon Berto, l’aggiunta del simbolo “=” al linguaggio predicativo ne comporta una espansione, il linguaggio predicativo comprendente questo tipo di simbologia viene detto quasipredicativo o quasielementare. Il potere espressivo di questo tipo di linguaggio è molto più ampio del linguaggio predicativo base e consente di fare affermazioni numericamente determinate su oggetti. Infatti col linguaggio predicativo possiamo solamente dire che esiste un individuo che possiede la proprietà “F” o che tutti gli individui possiedono la proprietà “F”. Poniamo invece il caso in cui si voglia dire che “2 individui possiedono la proprietà F”. Scriveremo allora:
xy (F(x) ⋀ F(y) ⋀ xy)

Se invece volgiamo dire che “vi sono tre cose che possiedono la proprietà F” allora scriveremo:

xyz (F(x) ⋀ F(y) ⋀ F(z) ⋀ x yy zxz)

E così via per un numero “n” di oggetti.
Possiamo anche voler dire che un preciso numero di cose ha “F”. Per fare ciò bisogna fare un lungo giro e partire dalla formulazione più semplice: “almeno una cosa ha F e al massimo una cosa ha F”. Si tratta di una congiunzione logica dove il primo congiunto è semplicemente “∃xF(x)”. Per quanto riguarda il secondo congiunto e cioè “al massimo una cosa ha F”, ciò può essere inteso immaginando che se due cose hanno “F” e queste due cose sono “x” e “y” (mentre deve esserci una sola cosa con “F”), allora l’unica soluzione è che “x” e “y” siano uguali. Semplice no? Si scriverà allora:

xy(F(x)⋀F(y)→x=y)

Volendo quindi dire che “una cosa ha F e al massimo una cosa ha F” scriveremo:

xF(x)  ⋀ ∀xy(F(x) ⋀ F(y) → x=y)

La quale formula è logicamente equivalente a questa più breve:

x(F(x) ⋀ ∀y(F(y) → x=y))

Ora eseguirò una traduzione simultanea dell’ultima formula dal logichese all’italiano: esiste un “x”, tale “x” ha “F” e qualsiasi “y” abbia “F” ciò è possibile solo se “y” è identico a “x”. Utilizzando lo stesso procedimento possiamo ora dire che “due cose hanno F”:

xy(xy ⋀ F(x) ⋀ F(y) ⋀ ∀z(F(z) → z=x z=y))

Sapete cosa vi dico? In fondo a me i biscotti non sono mai piaciuti tanto…

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2 comments

  1. Papa si scrive con la maiuscola

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