Temi e protagonisti della filosofia

La cristologia filosofica di Simone Weil (6)

La cristologia filosofica di Simone Weil (6)

Dic 12

Articolo precedente: La cristologia filosofica di Simone Weil (5)

 

3.3. L’ombra e la grazia

L’ombra e la grazia è una raccolta di pensieri impegnati in problemi sovrannaturali estratti dai diari della Weil del 1940-42 e riuniti sotto il titolo La Pesanteur et la Grâce da Gustave Thibon. Secondo la Weil tutta la natura soggiace alle leggi del determinismo, della necessità, della gravità (pesanteur), il che significa, per l’uomo e per la società, le leggi della forza. Per la Weil, la società è sempre cattiva. Di qui la sua critica ai totalitarismi, la sua simpatia per l’anarchismo, la sua convinzione che i partiti politici, forme degenerate del totalitarismo, siano cause essenziali della corruzione della società. All’indomani della guerra l’umanità non osava più guardarsi allo specchio, ed ecco che questo volumetto della Weil solleva l’umanità al di sopra di se stessa e rivela come la filosofa non riesca a resistere al bisogno di condividere la miseria altrui. Tutto ciò che appartiene alla natura, appartiene alla forza, alla pesanteur, ed è perciò sempre male. Ma v’è anche il sovrannaturale, la luce, la grazia:

C’è un solo rimedio: una clorofilla che permetta di nutrirsi di luce. […] c’è una colpa sola: non aver la capacità di nutrirsi di luce. Perché, abolita questa capacità, tutte le colpe sono possibili. [1]

E la grazia ha delle leggi altrettanto precise e determinate di quelle della pesanteur, soltanto meno note: anziché alla legge del moto ascendente, si sottopone a quella del moto discendente. Infatti,

Abbassarsi significa salire nel senso della pesantezza morale. La pesantezza morale ci fa cedere verso l’alto. […] La pietà scende fino a un certo livello e non al di sotto. Come fa la carità a scendere anche al di sotto? [2]

E ancora:

Non esercitare tutto il potere di cui si dispone, vuol dire sopportare il vuoto. Ciò è contrario a tutte le leggi della natura: solo la grazia può farlo. La grazia colma, ma può entrare solo là dove c’è un vuoto a riceverla; e, quel vuoto, è essa a farlo. [3]

Coordinata essenziale è il distacco: si esce dal regno della forza semplicemente rifiutandone il dominio, nell’abbandono, nell’umiltà. Non v’è posto per lo sforzo umano, che sarebbe sempre tutto quanto nell’ordine della forza, l’unica cosa da fare è creare un vuoto, nel quale, e solo nel quale, può accedere la grazia. Anche se accettare un vuoto in se stessi è cosa sovrannaturale. D’altronde:

Amare la verità significa sopportare il vuoto; e quindi accettare la morte. La verità sta dalla parte della morte. [4]

Il primato del distacco deve però rimanere intangibile. L’immagine di Dio che la Weil ha è perciò quella di un Dio “supremo distacco”, alla Eckhart, un Dio che si ritrae e non agisce. Per raggiungere tale condizione di distacco non basta l’infelicità, è necessaria un’infelicità senza consolazione, ossia anche l’accettazione della morte. Così,

Solo il distacco perfetto permette di veder le cose nude, fuor della nebbia di valori bugiardi. Per questo ci son volute le ulcere e il letame perché a Giobbe fosse rivelata la bellezza del mondo. Perché non c’è distacco senza dolore. E non c’è dolore sopportato senza odio e senza menzogna senza che vi sia anche distacco. [5]

Una delle parole più profonde e più oscure del Cristo rivela la sua indifferenza assoluta ai valori morali. Giusti e criminali ricevono ugualmente i benefici del sole e della pioggia. Imitare questa indifferenza è semplicemente consentirvi. In primo luogo occorre comprendere l’universale dominio della necessità, che non è diversa dalla volontà di Dio. Ma è necessario smettere di pensare in prima persona, occorre cioè che sia morta la volontà personale. Consentire alla necessità significa infatti accettare l’esistenza di tutto ciò che esiste, compreso il male, trasfigurandolo in uno sguardo d’amore, vera e propria conoscenza sovrannaturale. Che è partecipazione della sofferenza del Cristo, condivisione della sua Croce.

L’amore, in chi è felice, è volontà di condividere la sofferenza dell’amato infelice. L’amore, in chi è infelice, è essere pieno della nuda nozione della felicità dell’amato, senza partecipare a quella gioia, e nemmeno desiderare di parteciparvi. [6]

Non c’è l’inserimento della figura di Cristo in qualche “perché” cosmico, la cristologia weiliana si comprende solo entro le coordinate della mistica. Una mistica della croce:

Iddio è crocifisso dal fatto che esseri finiti, sottoposti alla necessità, allo spazio e al tempo, pensano. Sapere che, come essere pensante e finito, io sono Iddio crocifisso. Somigliare a Dio, ma a Dio crocifisso. A Dio onnipotente, per quanto è legato alla necessità. [7]

 

Note

[1] Weil, L’ombra e la grazia, Bompiani, Milano 2002, p. 9.
[2] Weil, Ivi, pp. 9-11.
[3] Weil, Ivi, p. 25.
[4] Ibidem.
[5] Weil, L’ombra e la grazia, cit., p. 95.
[6] Weil, Ivi, p. 111.
[7] Weil, Ivi, p. 161.

 

Articolo successivo: La cristologia filosofica di Simone Weil (7)

 

 


Ti è piaciuto il post? Dona a Filosofia Blog!

Cliccando sul pulsante qui sotto puoi donare a Filosofia Blog una piccola cifra, anche solo 2 euro, pagando in modo sicuro e senza commissioni. Così facendo contribuirai a mantenere i costi vivi di Filosofia Blog. Il servizio di donazioni si appoggia sul circuito il più diffuso e sicuro metodo di pagamento online, usato da più di 150 milioni di persone. Per poter effettuare la donazione non è necessario avere un account Paypal, basta avere una qualsiasi carta di credito o Postepay. Grazie!

Leave a Reply