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Giustizia e neutralità. Intervista a Corrado Del Bò (2)

Giustizia e neutralità. Intervista a Corrado Del Bò (2)

Nov 07

Riprendiamo l’intervista a Corrado Del Bò sui concetti di giustizia e neutralità. Nella prima parte dell’intervista era stato introdotto il concetto di neutralità liberale ed era stata chiarita la differenza tra neutralità della giustificazione e neutralità dello scopo.

 

D: Abbiamo parlato del principio di neutralità dello Stato. A questo riguardo, ritieni che tutte le posizioni debbano essere tutelate secondo tale principio? Ad esempio, una terapia medica priva di riscontro scientifico dovrebbe avere egualmente lo status di posizione verso cui lo Stato deve assumere un atteggiamento neutrale, al pari di una teoria che abbia invece superato gli step per qualificarsi come scientifica?

R: Il punto è importante. Noi ovviamente dobbiamo ammettere a livello di considerazione pubblica solo credenze che siano formate in un certo modo. Quindi, quando si deve decidere, non si può prendere unicamente atto del pluralismo (pluralismo in questo caso epistemico, non morale) e semplicemente accettare qualsiasi alternativa. Ci deve essere un’assunzione di responsabilità, escludendo credenze palesemente irrazionali, così come credenze non supportate scientificamente. Questo naturalmente crea dei problemi: i gruppi che portano avanti queste credenze sono infatti generalmente reticenti a veder ridotte le proprie credenze a qualcosa che non merita considerazione pubblica.
Il problema non riguarda tanto in sé le scelte delle singole persone, quanto quando queste scelte coinvolgono soldi pubblici, perché questo significa imporre qualcosa agli altri contribuenti.

D: Uscendo dal campo del pluralismo epistemico, ci puoi fare altri esempi di certe posizioni che non rispondono ai criteri per ricevere un trattamento neutrale da parte dello Stato?

R: Sicuramente argomenti basati su testi religiosi, che non siano traducibili in linguaggio secolare. Mi spiego con un esempio: pensiamo al caso dei testimoni di Geova che, com’è noto, rifiutano le trasfusioni di sangue. Loro sono una minoranza, e ci sono state storie drammatiche di persone trasfuse contro la loro volontà, in violazione di legge. Ma supponiamo che, invece che una minoranza, siano una maggioranza: in tal caso questa loro condizione, se vale il principio di neutralità, non può essere la base per fondare una regola che vieti le trasfusioni di sangue. Finiremmo infatti per fondare una regola su qualcosa che non può essere in astratto comprensibile e condivisibile da tutti.

D: Questa tua osservazione mi porta al discorso sull’eutanasia: in termini di neutralità dello Stato, come si deve giudicare l’eutanasia?

R: Lo Stato è neutrale quando non prende posizione rispetto a questioni per qualche motivo controverse, ma ammette una pluralità di opzioni differenti. Non prendere posizione significa, in linea generale, astenersi dal vietare. Dunque, perché ci sia una proibizione dell’eutanasia serve una motivazione che deve essere neutrale – condizione necessaria ma non sufficiente – e forte abbastanza da risultare convincente. Per esempio, è chiaro che dire che l’eutanasia ci riporterebbe all’epoca dei nazisti è sì un argomento neutrale, ma ha talmente poca presa da risultare inadeguato. Invece portare come argomento il rischio che si allentino le nostre percezioni rispetto al non uccidere, per quanto sia una tesi che naturalmente andrebbe raffinata, ad esempio con analisi empiriche, presenta già delle riflessioni più interessanti.

D: Il neutralismo è l’unica opzione in un’ottica liberale? E quali individueresti come suoi caratteri specifici?

R: Il neutralismo liberale è una prospettiva che tende a essere molto restìa a dare indicazioni su cosa è bene e cosa è male, e in questo senso si oppone al perfezionismo liberale. Inoltre, tende a un atteggiamento “antipaternalista”. Si tratta però di un agnosticismo che si muove a livello di etica pubblica, non individuale. I singoli individui hanno naturalmente delle convinzioni specifiche, che sono liberi di seguire, o sulla cui base possono educare i loro figli. Ma il pubblico non deve comportarsi come un individuo e deve seguire, nell’individuare delle regole valide per tutti, degli standard più restrittivi di quelli del singolo.

D: Vorrei ritornare alla distinzione fra neutralità dello scopo e della giustificazione. Come vedi il rapporto fra queste due sfere?

R: Dobbiamo focalizzarci su meccanismi di deliberazione complessa come possono essere quelli di uno Stato. Spesso nel dibattito pubblico, quando viene applicata una certa norma, vi sono delle accuse di intenzione recondite, non dichiarate; a questa accusa segue in genere una giustificazione della norma da parte dei legislatori. L’idea è che, se hai degli scopi nel produrre una norma, devi poterne esporne le ragioni, ma queste ragioni devono rispondere a criteri di neutralità.
La mia idea è che nella costruzione del paradigma della neutralità sia necessario tenere assieme sia effetti sia giustificazioni. Noi non possiamo cioè accettare che ci siano effetti non neutrali semplicemente perché siamo in grado di produrre delle buone ragioni neutrali: il paradigma deve tenere conto di tutto. Essere neutralisti tendenzialmente secondo me significa pensare che gli effetti siano neutrali, e che dunque questi abbiano priorità rispetto alla neutralità della giustificazione, anche se possono esserci in talune circostanze delle buone ragioni per derogare rispetto alla neutralità degli effetti.

 

 


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