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Wittgenstein contra Freud

Wittgenstein contra Freud

Ott 17

 
Oggi pubblichiamo il primo articolo di Emanuele Tarasconi, laureato in psicologia presso l’Università degli studi di Milano Bicocca con una tesi sulle critiche wittgensteiniane alla teoria psicanalitica classica. Emanuele inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog occupandosi di filosofia della psicologia. Ringraziandolo per il contributo, gli diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.

 

Illustrare in poche righe il complesso rapporto che intercorse fra Ludwig Wittgenstein e Sigmund Freud non è impresa semplice. Pur essendo entrambi figli della Grande Vienna fin de siécle, probabilmente essi mai si incontrarono. Di certo la famiglia di Ludwig, in particolar modo la sorella, conosceva e appoggiava le nascenti teorie psicoanalitiche. Margarethe Wittgenstein, infatti, fu in analisi da Freud per lungo tempo, e sembra che con il fratello essa in gioventù si divertisse a interpretare i sogni e i lapsus dei famigliari.

È altresì vero che le osservazioni di Wittgenstein sulla teoria freudiana sono decisamente troppo frammentarie e ambigue, se non addirittura contraddittorie, per poter pensare di fondare su di esse una rilettura sistematica dell’opera freudiana. Per di più la maggior parte di queste osservazioni sono riportate da terzi (è il caso delle conversazioni con gli amici Rush Rhees e G.H. Von Wright) o in appunti di lezioni e seminari in cui, comunque, la psicoanalisi è sempre presentata come una delle tante teorie (come quelle di James Frazer o Charles Darwin) soggette alle medesime critiche.

Tuttavia, da un punto di vista della filosofia della scienza, le osservazioni che egli pone sono di innegabile valore epistemologico, superando infatti alcune ingenuità presenti nella celebre critica popperiana alla psicoanalisi. Non è un caso se molte delle teorie dei moderni approcci psicoanalitici, come quello intersoggettivo, la psicoanalisi del sé e l’approccio relazionale, abbiano di fatto accettato queste critiche, cercando di conciliarle con gli assunti psicoanalitici di base.

Nonostante Wittgenstein più volte si sia dichiarato “seguace di Freud”, non ebbe alcuno scrupolo a criticare alle volte aspramente la teoria freudiana, accusandola di essere mitologia e negandole lo statuto scientifico. Questa perenne ambiguità nei giudizi di Wittgenstein su Freud è stata fatta risalire, da molti psicoanalisti, alla particolare struttura di personalità del filosofo e logico viennese, tendente ad un narcisismo conflittuale ed estremamente sofferto. Probabilmente segnato dai colloqui psichiatrici che sostenne prima di diventare maestro elementare, Wittgenstein non tollerava l’idea di condividere con uno sconosciuto, come l’analista, le parti più recondite e segrete del proprio io pulsionale.

Al contrario, secondo Wittgenstein il rapporto con questo “rapace”, come soleva chiamarlo, era un problema del tutto privato. Da questo deriva l’accusa di scorrettezza etica alla psicoanalisi, e il paragone che Wittgenstein compie fra essa e la religione istituzionalizzata: entrambe pongono dei medium, l’analista e il sacerdote, all’interno di rapporti che dovrebbero essere assolutamente privati, con il proprio io e con Dio. All’infuori dei dilemmi etici, comunque, all’avviso di Wittgenstein il “terribile pasticcio” compiuto da Freud avrebbe cause puramente teoriche e logiche. In particolar modo possiamo evidenziare alcuni nodi cruciali attorno ai quali gravitano queste osservazioni critiche:

  1. Delle cause e delle ragioni. Freud, secondo Wittgenstein, compie un imperdonabile errore quando, ergendosi a eroe scientifico, afferma di avere scoperto la regola fondamentale secondo la quale si struttura la vita psichica dell’individuo. Egli infatti, in analisi, afferma di trovare le cause (i desideri rimossi) all’origine dei fenomeni comportamentali che gli analizzandi portano in terapia (i sintomi nevrotici, i sogni, i lapsus, le libere associazioni). Tuttavia, osserva un Wittgenstein visibilmente influenzato dall’ambiente positivistico di Cambridge, non si tratta di cause, bensì di ragioni. La differenza fra i due costrutti è abissale: causa, come nelle scienze fisiche, è quel fenomeno a cui segue necessariamente l’effetto che si osserva, e questo processo di causa-effetto è convalidato da un determinato numero di esperienze che permettono di verificarne la bontà mediante inferenze induttive. In psicoanalisi non v’è nulla di tutto ciò: il paziente espone un determinato comportamento e, mediante il processo di interpretazione, lo psicoanalista tenta di trovare quel fenomeno che sta a monte di esso. Tuttavia la bontà del rapporto fra questo fenomeno e il comportamento che il paziente porta in analisi non sono verificati da inferenze induttive derivanti da un significativo numero di ripetizioni, bensì solo dalla convalida del paziente: in analisi non sono necessarie esperienze concordanti. Ma se il lavoro dell’analista è fondamentalmente quello di proporre interpretazioni, allora Wittgenstein può affermare, anticipando di decenni le osservazioni di Jürgen Habermas sull’autofraintendimento scientistico di Freud, che la psicoanalisi, più che una scienza è un modello ermeneutico.
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  3. Del linguaggio dell’inconscio. Una delle critiche più sferzanti riguarda la natura dell’inconscio così come esposta nel capolavoro freudiano Die Traumdeutung. Secondo Wittgenstein la grande scoperta freudiana si riduce ad essere, in ultima istanza, un mero mezzo di rappresentazione. Freud infatti non farebbe altro che porre sotto la categoria che chiama inconscio il fenomeno a monte del comportamento portato in analisi, sia esso sintomo, sogno, lapsus o quant’altro. Dire “v’è una ragione inconscia a questo comportamento” presuppone, secondo Wittgenstein, una descrizione dei processi inconsci fatta con gli stessi meccanismi con i quali si descriverebbero i processi consci. Solo evidenzia che la ragione del comportamento, allorché questo comportamento è agito, è sconosciuta al paziente. L’inconscio diviene quindi una convenzione linguistica, un “modo di dire”, un giuoco linguistico, e per di più non necessario: come ripete più volte, non vi è nulla di ciò che si descrive con l’inconscio che non potrebbe essere descritto con le regole del cosciente.
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  5. Del determinismo psicologico. Molte correnti psicoanalitiche moderne sono concordi con Wittgenstein nel rigettare l’ipotesi freudiana di determinismo psicologico, derivante da una lunga tradizione che risale alle concezioni esposte da David Hume nelle Ricerche sull’intelletto umano e che nel pensiero di Freud diventa risultato naturale del meccanico modello metapsicologico-energetico. L’idea di Freud che nella vita psichica dell’individuo sussista la stessa rigidità nella relazione fra causa ed effetto che esiste nel mondo materiale, secondo Wittgenstein, deriva da una inferenza invalida con la fisica, per la quale, come per tutte le scienze naturali, sussistono vincoli metodologici di verifica empirica e passiva estremamente distanti dal metodo clinico psicoanalitico, così intriso di soggettività e attività affettivo-relazionale. Il setting psicoanalitico, infatti, non si presta ad essere equiparabile ad un’osservazione empirica nello scoprire le cause oggettive dei fenomeni. Secondo Wittgenstein, la psicoanalisi dovrebbe spogliarsi dagli assunti di determinismo psichico per abbracciare il più sicuro modello di “interpretabilità psichica”.
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  7. Dell’Interpretazione dei sogni. La critica di Wittgenstein sulla celebre “via regia” per la scoperta dell’inconscio gravita attorno al celebre motto freudiano per il quale il sogno risulterebbe essere, in ultima istanza, l’appagamento di un desiderio rimosso. Questo, secondo Wittgenstein, risulta essere un seducente slogan derivante da una superficiale ed eccessiva generalizzazione. Il logico viennese rivendica altresì la legittimità di sogni angosciosi o, al contrario, addirittura di sogni che non abbiano alcun senso. Per di più, il lavoro di interpretazione è alla base della già citata confusione freudiana fra cause e ragioni. In analisi, dice Wittgenstein, ha più probabilità di venir convalidata dal paziente l’interpretazione che copre più “tasselli” del sogno, cioè la più seducente. Per di più, nota Wittgenstein, non si può parlare di linguaggio onirico come di un effettivamente codificato sistema di simboli traducibile nel linguaggio convenzionale della veglia. Un linguaggio A, infatti, è tale solo se esiste una bidirezionalità di traduzione con un linguaggio B, tale che una frase espressa nel linguaggio B possa anch’essa essere tradotta nel linguaggio A. Non è questo ovviamente il caso del linguaggio onirico, che invece secondo Freud permette solo una traduzione univoca verso il linguaggio della veglia.

Le critiche di Wittgenstein alla psicoanalisi, disseminate qua e là nella sua opera, risentono di molti fattori: si sa per certo, per esempio, che di Freud lesse gli Studi sull’isteria, L’interpretazione dei sogni e la Psicopatologia della vita quotidiana, ma mancano osservazioni sulle altre opere freudiane. In molti casi queste critiche sono certamente contraddistinte da una certa ingenuità, tuttavia sono estremamente rilevanti all’interno della difficile storia dei rapporti fra la psicoanalisi e la filosofia della scienza. Di fatto le osservazioni di Wittgenstein sono accostabili a quelle compiute da Habermas e Paul Ricoeur nell’intendere la psicoanalisi più come una sorta di ermeneutica della vita psichica che come una scienza naturale.

Oggi, alla luce dei dati forniti dal filosofo della scienza Adolf Grünbaum, queste critiche, e soprattutto quelle sulla natura dell’inconscio e sullo statuto scientifico della psicoanalisi, appaiono quanto mai discutibili. Tuttavia è interessante notare come i seguaci di Freud e lui stesso (come si evince dal passo introduttivo del suo Costruzioni nell’analisi o, per quanto riguarda le categorie dei sogni, dalla lunga trattazione di Al di là del principio di piacere) si siano in qualche modo costantemente confrontati con queste critiche e abbiano cercato in esse degli spunti per rafforzare la teoria della scienza psicoanalitica.

 

Bibiliografia

  • BOUVERESSE, J. (1991), Philosophie, mythologie et pseudo-science. Wittgenstein lecteur de Freud, Editions de l’eclat, Combas (trad. it. Filosofia, mitologia e pseudo-scienza. Wittgenstein lettore di Freud, Einaudi, Torino, 1997).
  • MANCIA, M. et al. (2005), Wittgenstein & Freud, Bollati Boringhieri, Torino;
  • RHEES, E. (1984), Recollections of Wittgenstein, Oxford University Press, Oxford-New York (trad. it. Conversazioni e ricordi, Neri Pozza editore, 2005).
  • SARRACINO, D., INNAMORATI, M. (2011), Lo specchio dell’ambivalenza. Wittgenstein e la psicoanalisi, in “Rivista internazionale di filosofia e psicologia”, Vol. 2, n. 1.
  • TARASCONI, E. (2013), Wittgenstein e Freud: per una rilettura della teoria psicoanalitica alla luce delle critiche di Ludwig Wittgenstein, tesi di laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche, Università degli studi di Milano Bicocca, a.a. 2012/2013.
  • WITTGENSTEIN, L., Conversations 1949-1951 (trad. it. Conversazioni annotate da Oets K. Bowusma, Mimesis, Milano 2005).
  • WITTGENSTEIN, L. (1979), Wittgenstein’s Lectures 1932-1935, Cambridge, Blackwell, Oxford.
  • VON WRIGHT, G.H. (1964), Ludwig Wittgenstein. Schizzo biografico, in Malcom, N., Ludwig Wittgenstein, traduzione di B. Oddera, Bompiani, Milano 1964.

 

 


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