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Aristotele,Metafisica, libro 5°, i significati di “quanto”

Aristotele,Metafisica, libro 5°, i significati di “quanto”

Ott 12

Il testo di Aristotele riguardo a questo termine è piuttosto intricato, la cosa migliore è operare una ricostruzione schematica e ordinata come anche propone Zanatta.

Vi sono due grandi classificazioni in cui si racchiudono i significati di “quanto“:

1- Ciò che viene considerato “quantoper sé. Di questo tipo vi sono due specie:

I- Le quantità che sono per sé per essenza. Vi sono due specie di qualità per sé secondo l’essenza:

A- Le qualità numerabili, o discrete, e fra queste vi sono i numeri. I numeri infatti non sono a loro volta numerabili e la loro divisione genera unità separate le une della altre che sono a loro volta numeri.

B- Le quantità misurabili, o continue, e fra queste vi sono le grandezze geometriche. A questo proposito si osservi che suddividere una linea genera ancora altre linee (così le superfici e i solidi). Non è però la lunghezza ad essere una proprietà della linea ma, piuttosto, è la quantità, quando definita, che genera una linea (così per le superfici è la quantità che, se definita, diviene una superficie e lo stesso per quanto riguarda i solidi). Infatti linee, superfici e solidi sono delle quantità per sé secondo la loro essenza.

Le grandezze geometriche nello specifico sono: “la linea” che è una quantità misurabile secondo una dimensione, “la superficie” che è una quantità misurabile secondo due dimensioni, “il solido” che è una quantità misurabile secondo tre dimensioni.

II- La seconda specie delle quantità per sé comprende stati ed affezioni derivanti della prima specie delle quantità per sé. A questa classificazione sono ascrivibile “il molto e il poco”, “il lungo e il corto”, “il largo e lo stretto”. Se prendiamo in considerazione il “molto e il poco” ci accorgiamo però che sono già stati definiti come “relativi” da Aristotele, cioè termini assolutamente interdipendenti che non hanno significato fuori dalla loro coppia (così come “servo e padrone”, relativi che possono essere più esplicativi, non vi è infatti un padrone senza che esistano uno o più servi e viceversa). Propendo per la spiegazione più semplice, cioè che “il molto e il poco” continuino ad essere dei relativi, ma che considerati in relazione a delle quantità siano, di fatto, anche da considerarsi come affezioni della quantità stessa e così rientrano nella presente categorizzazione. Non si tratterebbe quindi di contraddizione ma di un ampliamento e specificazione del significato dei termini.

2- Il secondo grande significato di “quanto” riguarda ciò che è considerato quantità per accidente. Fra queste vi sono:

I- Le determinazioni cui accade di essere delle quantità perché sono degli accidenti di una qualità per sé. Ad esempio se imbianchiamo una superficie, il bianco che è accidente della superficie (non è cioè necessario che la superficie sia bianca) può essere misurato come superficie, dove la superficie è una quantità di per sé.

II- Il movimento e il tempo. Il senso di questo preciso inserimento dello spazio e del tempo verrà discusso in seguito in questo articolo.

 

Iniziamo ad analizzare il significato di “quanto”, la quantità è una delle dieci Categorie aristoteliche, le categorie fondamentali a cui può essere ricondotto ogni genere e quindi ogni specie e che non sono ulteriormente semplificabili né riconducibili l’una all’altra. Per questo motivo ci troviamo di fronte a quella che è piuttosto una “nozione” di “quanto” piuttosto che una definizione, in quanto una definizione richiede un genere prossimo e una differenza specifica, ma non vi è un genere prossimo e più generale in cui una delle dieci Categorie possa essere inserita, quindi non c’è definizione delle categorie e conseguentemente non possiamo averne l’essenza, il “che cos’è?”.

Le proprietà basilari, che sono più vicine all’essenza del “quanto” pur non potendo enunciarne un’essenza in senso proprio sono in primo luogo (1) l’essere divisibile in parti. Queste parti rimangono “immanenti” al quanto, cioè non ne cambia la qualità. Ad esempio, se spezziamo una linea ne otterremo linee più piccole, se dividiamo un numero numeri più piccoli e così anche un pezzo di legno se lo tagliamo ne otterremo pezzi di legno più piccoli. Se così non fosse e dividendo ottenessimo cose differenti e non “immanenti” al quanto allora ci accorgeremmo che ciò che cambia è anche e soprattutto la “qualità”.

L’altra esigenza teoretica del quanto è (2) l’essere costituito di unità. Le unità possono essere continue o discrete: se le unità sono continue la quantità in esame è divisibile virtualmente all’infinito, se le unità sono discrete la quantità in esame ha un’unità minima che è il suo massimo di divisibilità. L’essere un’unità significa prevalentemente l’essere determinato e misurabile. Non esiste infatti una collocazione spaziale dell’unità, se dividiamo una superficie in due superfici diverse con una linea otterremo due unità misurabili, due superfici misurabili. L’esistenza di unità discrete insomma dipende da quale metro vogliamo utilizzare per misurare la quantità, di per sé, in linea teorica non essendo l’unità spazialmente individuabile, non è nemmeno spazialmente misurabile come una quantità minima.

Dal testo di Aristotele con una semplice interpolazione si evince che ogni quanto deve essere un certo “questo”, in definitiva deve essere un qualcosa, cioè un qualcosa di definito, che è proprio la nozione base di quantità se stiamo a guardare. Di contro se pensiamo ad una “quantità indefinita” ci appelliamo ad una specifica del tutto generale che ci dice ben poco e snatura il senso di “quantità”. Ciò non significa che un certo questo sia l’unità minima che compone una quantità determinata, infatti tale unità minima, teoricamente per Aristotele e quindi di fatto gnoseologicamente, non esiste. Tale unità può essere naturale come nel caso dei “quanta” (delle quantità) discreti (fra i quali Aristotele fa ricadere numeri); questi si distinguono per avere dei confini in comune. Oppure l’unità può essere convenzionale, come nel caso dei quanta discreti, quantità queste che non hanno confini in comune.

Il numero è una quantità discreta poiché è un aggregato di unità e ciò lo rende una precisa specie della quantità quella numerabile. Ciò che è numerabili è infatti una quantità costituita da una molteplicità di unità fra loro separate.

La grandezza geometrica invece costituisce la specie delle quantità continue, che non hanno una unità definita alla loro base e perciò possono essere divisi all’infinito. Pertanto le quantità continue sono misurabili applicando su di loro una unità di misura convenzionale come il “metro”, il “braccio”, il “pollice”…

Aristotele specifica quindi che la lunghezza non è una proprietà della linea, ma è la quantità che se definita diviene una linea, cioè diviene un certo questo. Lo stesso ragionamento deve essere fatto per la superficie e per il solido. Potremmo infatti considerare che nella razionalità empirica di Aristotele, le quantità sono esistenti e quindi misurabili quando identificabili in oggetti.

Lasciamo adesso le quantità della prima classificazione, quelle per sé dove sono annoverate le quantità numerabili e quelle misurabili e andiamo a considerare le quantità della seconda classificazione, quelle per accidente dove sono annoverati lo spazio ed il tempo.

Lo spazio ed il tempo non sono numerabili di per sé, ma per quanto riguarda lo spazio si può misurare la distanza percorsa attraverso lo spazio, così il tempo è misura del movimento.

In Categorie (altra opera di Aristotele che tratta delle categorie originarie non ulteriormente condensabili l’una nell’altra gnoseologicamente) il tempo è descritto come una quantità continua e quindi dovrebbe rientrare nella prima classificazione delle quantità , cioè fra le quantità che sono tali secondo l’essenza.

LA spiegazione di Zanatta a questa apparente contraddizione che consisterebbe nel considerare il tempo sia come una quantità continua secondo l’essenza sia un accidente di una essenza e quindi come una quantità accidentale viene risolto modulando e specificando la considerazione del tempo stesso. Non mi sembra cosa così aliena che possano esserci varie specificazioni soprattutto riguardo concetti così generali (trasversali) e complessi. Alla fine, se consideriamo il tempo in modo assoluto per sé questo è una quantità continua. Se invece consideriamo il tempo come accidente del movimento e misura di quest’ultimo (il tempo della vita di Socrate) allora vediamo che questa è una misura relativa del tempo, si tratta di una quantità sia continua, sia accidentale senza evidenti contraddizioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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1 comment

  1. Lucia

    Articolo davvero interessante. Il tempo in definitiva è una quantità di duplice entità, ma nello stesso tempo la quantità stessa genera notevoli livelli di “quantità”.

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