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Platone, Parmenide (23)

Platone, Parmenide (23)

Lug 31

 

Brano precedente: Platone, Parmenide (22)

 

«E sia; or dunque, non va forse esaminato, dopo questo, che cosa bisogna consegua se l’uno invece non è?» «Va esaminato, ecco». «Quindi, che ipotesi è mai questa: ‘se l’uno non è’? Differisce forse in qualcosa da quest’altra: ‘se il non-uno non è’?» «Toh, differisce eccome». «Enunciare [160c] ‘se il non-uno non è’ differisce solo o è tutto il contrario dell’enunciare ‘se l’uno non è’?» «Tutto il contrario». «Che dici dunque? Se si argomentasse l’ipotesi che la grandezza non è o la piccolezza non è o qualcun’altra di tali ipotesi, allora il ‘non è’ non paleserebbe forse qualcosa di diverso in ciascun caso?». «Assolutamente sì». «Quindi anche adesso non si palesa che il ‘non è’ dice qualcosa di diverso dagli altri, quando si enuncia ‘se l’uno non è’, e sappiamo ciò che si dice?». «Lo sappiamo». «Allora si dice qualcosa di conoscibile in primis, e poi di diverso dagli altri, quando si proferisce ‘uno’, sia che s’aggiunga ad esso l’essere sia che gli s’aggiunga il non essere: [160d] infatti non si conosce meno di quello di cui si dice che non è e che differisce dagli altri. O no?» «Di necessità». «Così, allora, va argomentato dall’inizio che cosa bisogna ci sia se l’uno non è. In primis, quindi, per esso deve vigere questa condizione, come sembra: esserci conoscenza stabile di esso, o non si conoscerebbe neppure ciò che si dice quando si enuncia ‘se l’uno non è’». «Vero». «Quindi non devono anche gli altri essere diversi da esso, o non si direbbe neppure che è diverso dagli altri?» «Assolutamente sì». «Allora per esso c’è anche diversità, oltre alla conoscenza stabile. [160e] Infatti non si argomenta la diversità degli altri quando si dice che l’uno è diverso dagli altri, ma quella di lui». «Pare». «Ecco che l’uno non essente partecipa anche del ‘di quello’ e del ‘di qualcosa’ e del ‘di questo’ e del ‘a questo’ e del ‘di questi’ e di tutte le idee di tal sorta: infatti, se per esso non ci fosse partecipazione né al ‘di qualcosa’ né a queste altre, allora l’uno ed i diversi dall’uno non sarebbero detti». «Rettamente». «Dunque all’uno non sarà possibile essere, dal momento, ecco, che non è, però nulla vieta che partecipi di molte idee: [161a] è non solo possibile ma anche necessario, dal momento che è l’uno, ecco, a non essere, quello e non altro. Se invece non sarà neanche l’uno, neanche quello, a non essere, ma l’argomento valesse per qualcos’altro, non si deve proferir nulla; se però s’ipotizza che sia quell’uno e non altro a non essere, è necessario che sia partecipe sia del ‘quello’ sia di molte altre idee». «Eh sì, assolutamente».

«Allora in lui c’è anche dissomiglianza rispetto agli altri: infatti gli altri, se sono diversi dall’uno, allora saranno anche di specie diversa». «Sì». «Quelli che dunque son di specie diversa non son d’altra specie?» «E come no?» «Quelli che dunque son d’altra specie non son dissimili?» [161b] «Dissimili eccome». «Quindi, dal momento che sono dissimili dall’uno, è allora chiaro che i dissimili, ecco, saranno dissimili da un dissimile». «Chiaro». «Or dunque, anche nell’uno ci sarebbe dissomiglianza, in relazione alla quale gli altri sono dissimili da esso». «Sembra». «Ma se in lui c’è dunque dissomiglianza dagli altri, allora non è necessario che in lui ci sia somiglianza con sé stesso?» «Come?» «Se nell’uno ci fosse dissomiglianza dall’uno, allora l’argomento non sarebbe affatto valido per quel che è tale da essere uno e l’ipotesi varrebbe non per l’uno ma per altro dall’uno». «Assolutamente sì». [161c] «Non deve però essere così». «No, affatto». «Allora nell’uno deve esserci somiglianza con sé stesso». «Deve».

«E non è neanche, ecco, uguale agli altri: infatti, se fosse uguale, allora già sarebbe e sarebbe simile ad essi secondo l’uguaglianza. Però entrambe queste eventualità sono impossibili, dal momento che l’uno non è». «Impossibili». «Poiché dunque non è uguale agli altri, non è forse necessario che anche gli altri non siano uguali a lui?» «Necessario». «Ma i non uguali non sono disuguali?» «Sì». «Ma i disuguali non sono disuguali da un disuguale?» «E come no?» «Dunque l’uno partecipa anche della dissomiglianza, [161d] in relazione alla quale gli altri sono disuguali da esso?» «Partecipa». «Ma ecco che grandezza e piccolezza sono proprietà della disuguaglianza». «Lo sono, infatti». «Sono allora proprie di tale uno anche grandezza e piccolezza?» «C’è il rischio». «Grandezza e piccolezza son sempre distanziate l’una dall’altra». «Assolutamente sì». «Allora c’è sempre qualcosa d’intermedio tra di esse». «C’è». «Hai quindi qualcosa d’intermedio da menzionare altro dall’uguaglianza?» «Null’altro che questa». «Allora in ciò in cui ci sono grandezza e piccolezza c’è anche uguaglianza, ch’è intermedia tra queste». [161e] «Pare». «Or dunque, per l’uno non essente, come sembra, c’è partecipazione all’uguaglianza ed alla grandezza ed alla piccolezza». «Sembra».

 

Brano seguente: Platone, Parmenide (24)

 

 


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