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Melisso, Sulla natura o sull’essente (14)

Melisso, Sulla natura o sull’essente (14)

Apr 10

Articolo precedente: Melisso, Sulla natura o sull’essente (13)

 

[Arist.] De Melisso, C. 2, 976 b 8 (DK 30 A 5; R. A 5)

(24) Se, invece [de], è ed è ingenerato, e se, per questo, [kan dia touto] si desse per buono [dotheiē] che è illimitato ed è inammissibile che sia via via alterato [allo kai allo], perché, or dunque, andrebbero predicati di lui sia l’uno [dia ti kai hen touto ēdē kai prosagoreueteon] sia l’«immobile»? Come, infatti, se l’illimitato fosse l’intero, il vuoto, non essendo l’intero, potrebbe essese [pōs gar, ei to apeiron holon eiē, to kenon mē holon on hoion te einai]?  (25) Dunque afferma che è immobile, se non c’è vuoto [kenon mē esti]: tutti quanti gli enti [hapanta], infatti, si muovono col mutare luogo [kineitai tōi allattein topon].  (26) In primis, orbene, a molti consta non questa dottrina, ma che qualche vuoto ci sia, non comunque che esso sia qualche corpo, bensì, come [prōton men oun touto pollois ou sundokei, all’ einai ti kenon, ou mentoi touto ge ti sōma einai, all’ hoion kai] afferma [phēsi] Esiodo, che, nella generazione, primo [en tēi genesei prōton] si generò [genesthai] il Caos [to khaos] siccome deve sussistere uno spazio primo per gli essenti [hōs deon khōran prōton huparkhein tois ousi]: un che [ti] di tale [toiouton], dunque, è anche il vuoto, quale un recipiente [hoion angeion ti], e ricerchiamo ciò che vi è in mezzo [ana meson einai zētoumen].  (27) Ma, anche se il vuoto non è niente [alla dē kai ei mē esti kenon mēden], cionondimeno ci si muoverebbe [ti hēsson an kinoito]. Poiché anche [epei kai] Anassagora, trattando di questo, anche se gli sarebbe bastato solo affermare che non è, ugualmente afferma che gli essenti si muovono pur non essendoci vuoto [to pros auto pragmateutheis, kaitoi monon apokhrēsan autōi apophēnasthai hoti ouk estin, homōs kineisthai phēsi ta onta ouk ontos kenou].  (28) Similmente, poi, [homoiōs de] anche Empedocle afferma che tutti gli essenti, confondendosi, si muovono sempre, in continuazione, mentre nulla è vuoto, argomentando che [kineisthai men aei phēsi sunkrinomena ta onta panta endelekhōs, kenon de ouden einai, legōn hōs]:

Del tutto nulla è vuoto; donde quindi

vi sopraggiungerebbe qualche cosa? [DK 31 B 14]

Quando poi si sia confuso in un’unica forma sì da essere unico [hotan de eis mian morphēn sunkrithēi, hōsth’en einai], afferma:

Non v’è nulla di vuoto e d’eccessivo [DK 31 B 13].

(29) Che cosa, infatti, vieta che si trasferiscano gli uni verso gli altri [eis allēla pheresthai] e simultaneamente uno qualsiasi si sostituisca a un altro [peristasthai hama hotououn eis allo], e questo a un altro [toutou eis heteron], e un altro al primo, scambiandosi sempre [eis to prōton allou metaballontos aei]?  (30) E che cosa – quanto a quel cambiamento di specie della cosa che pur rimane nello stesso luogo che [ti kai tēn en tōi autōi menontos tou pragmatos topōi tou eidous metabolēn, hēn] sia gli altri sia lui dicono [legei] ‘alterazione’ [alloiōsin] –, degli enunciati, gli vieta di muovere le cose, quando dal bianco si genera il nero o dall’amaro il dolce [ek tōn eirēmenōn autōi kōluei kineisthai ta pragmata, hotan ek leukou melan ē ek puknou gignētai gluku]? Infatti, che non ci sia vuoto o che il pieno non accolga non vietano per nulla l’alterarsi [ouden gar to mē einai kenon ē mē dekhesthai to plēres alloiousthai kōluei].

(31) Sicché non [hōst’ outh’] è necessario [anankē] né che sia tutto insieme [hapan] eterno né illimitato (ma, se sì, gli illimitati sarebbero molti [apeira polla]) né unico né uguale né immobile (né se fosse unico né se ce ne fossero molti [out’ ei hen out’ ei poll’ atta]). Eppoi, poste queste premesse, nessuno dei suoi enunciati vieterebbe che gli essenti «si riordinino» e «s’alterino» così: se il tutto è uno e c’è movimento, sia differenziandosi per grandezza e piccolezza sia alterandosi senza che si aggiunga o si sottragga alcun corpo, e, se i molti sono, mischiandosi e discriminandosi gli uni rispetto agli altri [toutōn de keimenōn kai «metakosmeisthai» kai «heteroiousthai» ta onta ouden an kōluoi ek tōn hup’ ekeinou eirēmenōn, kai henos ontos tou pantos kinēseōs ousēs, kai plēthei kai oligotēti diapherontos, kai alloioumenou oudenos prosgignomenou oud’ apogignomenou sōmatos, kai ei polla, summisgomenōn kai diakrinomenōn allēlois].  (32) Infatti è evidente [eikos] che la mistione [mixin] non è né tale sovrapposizione [epiprosthēsin toiautēn] né la composizione che dice, tale che essi o siano subito separati oppure, sfregati quanti son sovrapposti ad altri, appaiano separati gli uni dagli altri, ma è evidente che sono congiunti e disposti cosicché qualunque componente della mescolanza [sunthesin eikos hoion legei, hōste ē khōris euthus einai, ē kai apotriphthentōn hos’ epiprosthen hetera heterōn phainesthai khōris allēlōn tauta, all’ houtōs sunkeisthai takhthenta hōste hotioun tou mignomenou] si rapporti a qualunque [par’ hotioun] parte [meros] cui [hōi] sia mescolato cosicché non siano più coglibili, da congiunti, se non mescolati né sia più coglibile quante siano le parti della mescolanza [mē an lēphthēnai sunkeimena, alla memigmena, mēd’ hoposaoun autou merē]. Poiché, infatti, non c’è un corpo minimo, ogni parte si mescola a ogni altra allo stesso modo in cui si mescola l’intero [epei gar ouk esti sōma ti elakhiston, hapan hapanti meros memiktai homoiōs kai to holon].


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