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METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 4: la fondazione del principio di non contraddizione

METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 4: la fondazione del principio di non contraddizione

Ott 29

Nel post precedente abbiamo visto la formulazione del principio di non contraddizione da parte di Aristotele nel capitolo 3 del libro 4 della Metafisica. Questo principio è stato presentato come il più saldo dei principi, in quanto tale non è dimostrabile poiché abbiamo detto che la scienza dimostra a partire dai principi ma non dimostra i principi. I principi sono appunto tali perché non rimandano a qualcosa di più originario, se così fosse perderebbero la loro essenza, la loro definizione e questo a cascata nulluficherebbe ogni possibilità epistemologica (e gnoseologica in generale). Per riprendere l’argomento riporto la formulazione aristotelica:

Infatti, quel principio che colui che comprende qualsivoglia degli enti è necessario che possieda, questo non è una ipotesi; e ciò che per chi conosce qualsivoglia cosa è necessario conoscere, è necessario che già si possieda quando si raggiunge la conoscenza.

Che dunque tale principio sia il più saldo di tutti, è chiaro. Ma dopo queste <osservazioni> diciamo quale esso sia. Eccolo: è impossibile che la stessa cosa appartenga e non appartenga alla stessa cosa nello stesso tempo e rispetto alla stessa cosa […] Ebbene, questo è il più saldo di tutti i principi, […].

Il principio non si può dimostrare (come Aristotele scrive negli Analitici posteriori) ma vi è comunque una via che Aristotele utilizza per renderne evidente la bontà, cioè provare a confutarlo con tutti gli argomenti e le obiezioni dei detrattori e successivamente osservare come nessuno di questi argomenti di confutazione sia corretto o non porti esso stesso ad una contraddizione e quindi di nuovo ad affermare il principio di non contraddizione. Se accettassimo la contraddizione nel nostro discorso allora ogni argomento sarebbe vano.

Aristotele esamina otto tentativi di confutazione al principio di non contraddizione:

-1- Chi nega il principio di non contraddizione deve comunque esprimere qualcosa di sensato, cioè la sua obiezione deve essere comprensibile altrimenti sarebbe al pari di una qualsiasi cacofonia di suoni e non negherebbe il principio. Per significare qualcosa deve usare le espressioni “essere” e “non essere”, tali espressioni devono avere un significato determinato e non interscambiabile. Per estensione ciò vale per ogni termine che non può al contempo “essere” e “non essere” oppure avere uno stato indipendente da “essere” e “non essere” dove questi due termini sono interscambiabili ed omonimi (e quindi il loro essere differenti non significa niente). Quindi ogni termine deve avere un significato determinato ed “essere” o “non essere” una certa cosa. Inoltre se un termine ha più significati, questi devono essere in numero finito; per esempio: non posso chiamare “uomo” o “casa” qualsiasi oggetto virtualmente per ogni oggetto all’infinito, altrimenti i termini “uomo” o “casa” non potrebbero avere alcun significato determinato ma si aprirebbero alla pura indeterminazione potendo significare qualsiasi cosa. L’ultima parte di questa prima confutazione di Aristotele parte dal fatto che se “essere bianco” ed “essere uomo” significano cose diverse, a maggior ragione avranno significato differente “essere uomo” e “essere non-uomo” che sono opposti. Portare l’obiezione che l’uomo è anche “bianco” (o “nero”, “giallo”, “viola”, ecc.) significa definire l’ “uomo” con un attributo accidentale che non ne implica l’essenza. Ma gli accidenti sono virtualmente infiniti (infatti l’omo può essere: bianco, nero, in piedi, seduto, forte, malato, alto, sportivo, ecc.) quindi o non li si invoca per niente oppure se li si chiama in causa bisognerebbe chiamarli in causa virtualmente tutti nelle loro infinite accezioni. Però già di partenza sappiamo che gli accidenti non cambiano e non determinano l’essenza della cosa (l’essere “alto” dell’uomo non modifica in alcun modo il suo essere “animale razionale”) tanto meno percorrere una lista infinita di possibili attributi accidentali ci porterà alla definizione della cosa. Questo per dire che la confutazione del principio di non contraddizione non può venire portata sul piano della specificazione degli attributi accidentali perché non produce alcunché di sensato.

-2- Dall’ultima parte della prima confutazione deriva l’argomento contro la seconda. Se si nega il principio di non contraddizione allora si nega la sostanza e l’essenza di una cosa. Infatti se “essere uomo” ha un significato allora non può averne un altro e non può, ad esempio, significare al contempo il suo opposto. Se così fosse, negando il principio di non contraddizione, allora l’essere uomo perderebbe la sua essenza e quindi sarebbe negata la sostanza. Una volta che la cosa in questione ha perso la sua essenza non rimane altro che un insieme di accidenti, i quali per l’appunto non sono essenziali. Gli accidenti esistono solo in virtù della sostanza e possono essere riferiti ad un soggetto ad un altro accidente del soggetto, ma non vi sarebbe alcun significato in una catena infinita di soli accidenti.

-3- Aristotele critica ora la dottrina di Protagora affermando che da questa si evince che i contraddittori possono predicarsi di ogni cosa, contemporaneamente. Detto ciò ogni cosa è ed insieme non è essa stessa, ne consegue che tutte le cose sono ugualmente indeterminate e mescolate insieme. In potenza i contraddittori possono essere assieme, infatti Socrate può essere “in piedi” e “non in piedi” ma in atto può essere o “in piedi” o “non in piedi”. Se si nega quindi il principio di non contraddizione in questo modo non si sta parlando dell’essere, ma dell’indeterminato e cioè del non essere.

-4- Se si afferma che gli opposti sono contemporaneamente veri, negando così il principio di non contraddizione, allora subito dopo si dovrà anche negare che gli opposti sono contemporaneamente veri.

-5- Sempre seguendo la critica di Aristotele a Protagora risulta che la negazione del principio di non contraddizione elimina le distinzioni fra le cose mescolandole tutte insieme e quindi rendendole indistinguibili e potendo dire di ogni cosa insieme il vero e il falso. Riducendo di fatto il linguaggio ad una accozzaglia di simboli insignificanti e del tutto casuali.

-6- Se, negando il principio, si ritiene vera l’affermazione e falsa la negazione e insieme vera la negazione e falsa l’affermazione allora ne consegue che non si può negare ed affermare al contempo la stessa cosa perché anche nella formulazione di questa confutazione ciò avviene in due tempi.

-7- La negazione del principio di non contraddizione rende impossibile non solo il linguaggio, ma anche il pensiero che è linguaggio, la conoscenza e quindi l’azione; con le parole di Aristotele:

E se tutti quanti, parimenti, e dicono il falso e sostengono cose vere, a un individuo convinto di ciò non sarà possibile né esprimersi né parlare, giacché nello stesso tempo afferma le stesse cose e non le stesse cose. E se non suppone nulla ma allo stesso tempo pensa e non pensa, in che cosa si comporterebbe differentemente dalle piante? Dal che è massimamente evidente che nessuno si trova in questa condizione, né fra gli altri [che non sostengono questa dottrina] né fra coloro che sostengono questa dottrina. Perché mai, infatti, <quegli> cammina verso Megara e non si resta fermo, pensando di dover camminare? Né immediatamente, di buon mattino, procede nella direzione di un pozzo o di un burrone, se capiti, ma appare guardingo, come se non ritenesse che, parimenti, non è bene ed è bene cadervi dentro? E’ evidente, pertanto; che suppone che una cosa sia migliore e l’altra non sia migliore.

-8- Anche chi nega il principio di non contraddizione deve fare il semplice assunto che vi è qualcosa più di qualcos’altro e qualcosa meno di qualcos’altro. Ciò in qualsiasi ambito non è altro che un principio di determinazione e con ogni affermazione e minima determinazione a catena emerge ogni determinazione, ciò basta a far riemergere ogni cosa dalla pura indeterminazione.

 


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