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METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 2: la multivocità dell’ente

METAFISICA, LIBRO IV, capitolo 2: la multivocità dell’ente

Set 04

Oggi inizierò a trattare del secondo capitolo del libro IV (Gamma) della Metafisica. Il titolo riportato da Zanatta è “la multivocità dell’ente e la sostanza”. La prima frase di questa suddivisione operata dai critici è molto nota:

L’ente si dice in molti sensi, però in riferimento ad un’unità, ossia in riferimento a una qualche natura unica e non omonimamente […].

Ad ogni cosa si può dare il nome di “ente” (nome che, come ricorda Zanatta, in greco è la sostantivazione del participio presente del verbo essere) poiché ogni cosa in qualche modo partecipa all’essere o al non essere. Le cose a cui viene dato il nome ente però sono diverse (di fatto ogni cosa) e nasce quindi il problema dell’omonimia, cioè un solo nome per molti oggetti e quindi con significati diversi. Questa però, proseguendo con la citazione, è una omonimia in relazione all’unità, cioè all’ “uno” e coma si vedrà più avanti “essere” ed “uno” sono la stessa sostanza anche se è diversa la loro nozione. Detto altrimenti, ogni cosa si può dire che “è” e allo stesso tempo che è anche un “uno”, in quanto determinata, possedendo una essenza ed una forma (anche dire “il caos” corrisponde ad una determinazione e definizione specifica, in quanto il caos non è “il tavolo”, “la vita”, ecc.) e in questo senso vi è una comunanza e universalità di tutti gli enti. Nel caso di nomi collettivi si potrebbe obiettare che ad esempio “il bosco” sia un qualcosa che “è” ma non necessariamente un “uno”, piuttosto ad una moltitudine; per Aristotele il riferimento del bosco è sempre ad un certo bosco, poiché ricordiamo che le specie sono composte sempre dai loro individui e quindi quando un particolare bosco viene ad essere ecco che considerandolo come bosco è anche un uno. Come ricorda Zanatta, poi, l’uguaglianza degli oggetti con l’ente è tale poiché ci si riferisce sempre allo stesso significato di ente; essa non riguarda infatti il tipo di rapporto che gli enti (gli oggetti) intrattengono con l’ente (l’essere); stiamo infatti parlando di una omonimia (relazione allo stesso termine: in questo caso l’ “uno”) e non di una analogia (medesimo rapporto fra termini differenti). Aristotele, come di consueto, pone l’esempio della “salute” per specificare questo punto: noi diciamo salute “tutto ciò che è sano […] una cosa per il fatto di custodirla, un’altra per il fatto di produrla, un’altra ancora per il fatto di essere un segno della salute, una quarta perché è atta a riceverla […]”; anche questo è un esempio di omonimia rispetto ad un medesimo concetto che è la salute. Più avanti nel testo possiamo leggere:

Ebbene, come pure di tutte le cose sane vi è un’unica scienza, parimenti questo si verifica anche per le altre. Infatti, appartiene a un’unica scienza speculare non solo intorno alle cose che si dicono secondo un’unica <accezione>, ma anche intorno a quelle che si dicono in riferimento a un’unica natura, giacché anche queste in un certo modo si dicono secondo un’unica <accezione>. E’ chiaro, pertanto, che compete ad un’unica <scienza> studiare gli enti in quanto enti. In ogni caso, però, la scienza è, in senso proprio, di ciò che è primo, ossia di ciò da cui le altre cose dipendono e in forza di cui si dicono. Se dunque questa cosa è la sostanza, il filosofo dovrà possedere i principi e le cause delle sostanze.

In questa citazione viene risolto un problema che sorge già nelle prime righe del Libro Gamma ma che tratto solo ora poiché qui si presenta anche la soluzione al quesito. Nel post precedente abbiamo visto come, secondo Aristotele, le scienze si ritagliano una parte dell’essere e quindi lo studiano, ogni scienza infatti riguarda un certo genere di enti o un ambito. Sappiamo inoltre che la scienza studia l’universale del suo ambito o del suo genere e non si occupa di ciò che è accidentale. Questa affermazione può sembrare in gran parte ovvia poiché anche per il senso comune, ad esempio, i principi della matematica non sono quelli della biologia. Una spiegazione puntuale di questo problema ci viene data invece da Zanatta che ci ricorda come negli Analitici secondi Aristotele scriva che la scienza procede per sillogismi dimostrativi, in questi sillogismi la premessa minore è un principio appartenente all’ambito della scienza in questione e non ulteriormente deducibile. Se quindi noi consideriamo l’essere in quanto tale nella sua unità e quindi totalità, come affermato nel primo capitolo del libro Gamma, allora nasce il problema epistemologico di non poter più fare scienza del tutto, che non è un ambito o un genere, in quanto Aristotele afferma che la filosofia prima: “è una scienza che studia l’ente in quanto ente”. Il problema intrinseco è che la scienza deve avere un oggetto, considerare il tutto come somma di tutti i particolari ci porterebbe ad una condizione probabilmente indeterminata, senza definizione o connotazione specifica, bensì una forma del tutto informe, piuttosto una quantità indifferente come può essere una somma aritmetica. Invece per Aristotele è necessario che la conoscenza poggi su una determinazione qualitativa prima che quantitativa. Per Aristotele persino la matematica tratta un aspetto dell’essere e cioè quello della quantità; e se la quantità è un aspetto dell’essere allora l’essere nella sua totalità sovradetermina la quantità. La soluzione del problema è nell’ultima citazione proposta: possiamo considerare una scienza dell’essere poiché tutti gli oggetti si dicono enti in riferimento ad un unico significato di fondo, un’unica accezione o precisamente un unico termine a cui si riferiscono. Gli enti non costituiscono così un genere, ma il loro riferirsi tutti allo stesso termine ne garantisce comunque una’unità e quindi un ambito; rispetto a questa unità superiore all’universalità si può fare una scienza dell’essere in quanto essere.

 


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