Temi e protagonisti della filosofia

Platone, Fedone (4)

Platone, Fedone (4)

Ago 29

Brano precedente: Platone, Fedone (3)

 

«Quanti si applicano rettamente alla filosofia rischiano, ecco, che agli altri resti celato che di null’altro essi si occupano se non del morire e dell’essere morti. Se dunque questo è vero, sarebbe ordunque strano aspirare in tutta la vita a nient’altro che a questo, ma poi, quando arriva, soffrire di ciò a cui da tempo si aspirava e di cui ci si occupava».

E Simmia ridendo: «Per Giove», disse, «Socrate, [64b] anche se io adesso proprio non avevo assolutamente voglia di ridere, mi hai fatto ridere. Credo, ecco, che ai più, all’udire questo, sembri sia assolutamente ben detto riguardo ai filosofi ‒ e ciò si confarebbe alla gente delle nostre parti, sì assolutamente ‒ che nell’essenziale coloro che filosofano son moribondi e che loro non è celato che sono degni di patire questo».

«E direbbero proprio il vero, Simmia; tuttavia per loro latita il senso di questa verità. Latita, ecco, per loro in che senso sono moribondi e sono degni di morte, e di quale morte, coloro che sono veramente filosofi. [64c] Parliamo però», disse, «tra di noi qui, dicendo grazie e arrivederci a quelli: reputiamo che la morte sia qualcosa?»

«Assolutamente sì», disse in risposta Simmia.

«E che altro se non l’alienazione dell’anima dal corpo? E che il morire sia questo: da un canto il corpo alienato dall’anima diviene corpo in sé e per sé; d’altro canto l’anima alienata dal corpo è in sé e per sé. O che non sia qualcosa d’altro da questo la morte?»

«No, anzi: questo», disse.

«Esamina dunque, da bravo, se anche tu concordi coi contenuti della mia dottrina; [64d] da essi, ecco, credo che noi avremo una miglior visuale su ciò che esaminiamo. Pare a te che sia proprio dell’uomo filosofo concentrarsi sui piaceri che son chiamati tali, come mangiare e bere?»

«Minimamente, Socrate», disse Simmia.

«E per quel che riguarda quelli sessuali?»

«In nessun modo».

«E per quel che riguarda le altre cure del corpo? Ti sembra che le reputi pregevoli tale filosofo? Così gli acquisti di differenti vesti e calzari e tutti gli altri abbellimenti per il corpo, sembra a te che li apprezzi o li disprezzi, [64e] se non per quel tanto che la gran necessità gli fa aver a che fare con loro?»

«A me sembra che li disprezzi sì», disse, «chi è per davvero filosofo»

«In generale, non ti sembra quindi», disse, «che l’attività di costui non sia circoscritta al corpo, ma per quanto può se ne distanzi e sia invece rivolta verso l’anima

«A me sì».

«E non è forse chiaro, anzitutto, che in tali cose il filosofo [65a] scioglie al massimo l’anima dalla comunanza col corpo, a differenza degli altri uomini?»

«Pare».

«E sembra così, Simmia, a molte persone che secondo colui che né prova piacere di tali cose né vi partecipa vivere non sia cosa degna, ma tenda pressoché a morire chi non ha a cuore i piaceri che sono mediati dal corpo».

«E dici totalmente il vero».

«E che dire, dunque, dell’acquisizione della saggezza? Sarebbe d’impedimento il corpo o no, qualora uno, nella ricerca, lo [65b] assumesse come compare? Talché dico questo: han forse vista e udito qualche verità per gli uomini, o le cose son proprio tali e quali a come i poeti ci ripetono sempre: né udiamo né vediamo nulla di esatto? Ebbene, se queste, tra le sensazioni pertinenti al corpo, non sono esatte né chiare, tanto meno le altre: tutte infatti, per un verso o per l’altro, sono peggiori di esse. O a te non sembra sia così?»

«Assolutamente», disse.

«Quand’è quindi», disse poi lui, «che l’anima si adatta alla verità? Ecco che quando assieme al corpo ponesse mano ad esaminare qualcosa, è chiaro che allora sarebbe tratta in inganno dal corpo».

[65c] «Dici il vero»

«Quindi non è forse nel ragionare, se mai altrimenti, che le diviene completamente chiaro qualcuno degli enti

«Sì».

«Ordunque ragiona che è proprio una gran bellezza allorquando nessuna di queste cose l’affligge (né udito né vista né angustia né piacere alcuno), ma diventa massimamente anima in sé e per sé congedando il corpo e, per quanto può, non commista né adattata ad esso, si dirige verso l’ente».

«È così».

«Quindi anche in questo l’anima del filosofo non [65d] disprezza al massimo il corpo e non fugge da esso, cercando invece di divenire anima in sé e per sé?»

«Pare».

«E che dire, dunque, di tali enti, Simmia? Diciamo che il giusto in sé è qualcosa o nulla?»

«Diciamo eccome che è qualcosa, per Giove!»

«E anche il bello ed il bene sono qualcosa?»

«E come no?»

«Orbene, di tali enti, ne hai mai visto con gli occhi alcuno?»

«In nessun modo», disse poi lui.

«Ma con qualche altra delle sensazioni mediate dal corpo ti sei mai adattato ad essi? Ma parlo di tutti, cioè di grandezza, salute, forza e degli altri: in una parola, dell’essenza degli enti tutti insieme, di che [65e] sorta ciascuno è; forse mediante il corpo si osserva ciò che di più vero hanno, o si ha questo: chi, tra noi, al massimo e con maggiore esattezza si prepara a pensare ciascun ente in sé che esamina, costui andrebbe vicinissimo a conoscere ciascuno?»

«Assolutamente».

«Quindi potrà forse fare questo nel modo più puro colui che col pensiero massimamente inseato si accosta a ciascun ente, non sovrapponendo alcuna sensazione visiva nel pensare né [66a] accompagnando al ragionamento alcuna altra sensazione, ma, usando il pensiero in sé e per sé volto a pura certezza, pone mano alla caccia a ciascuno degli enti in sé e per sé volto a pura certezza, alienato massimamente dagli occhi, dagli orecchi e, per dirla in una parola, da tutto il composto del corpo siccome turba e non permette all’anima di acquistare la verità e la saggezza quando abbia comunanza con lei? Non è forse questi, Simmia, quant’altri mai, colui che incontrerà l’ente?»

«È superbo», disse Simmia, «come parli con verità, Socrate».

 

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