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La conoscenza dell’uditorio

La conoscenza dell’uditorio

Ago 10

Come precisano C. Perelman e L. Olbrechts-Tyteca nel Trattato dell’argomentazione, la presenza di un uditorio (reale o immaginata) non è meramente accessoria per lo sviluppo dell’argomentazione. Al contrario, dal tipo di uditorio e dalle sue caratteristiche specifiche dipendono – o dovrebbero dipendere – la scelta degli argomenti da usare, la loro formulazione e il grado di consenso che l’oratore si prefigge di ottenere (p. 32):

La natura dell’uditorio al quale alcuni argomenti possono essere presentati con successo determina dunque in larga misura sia l’aspetto che l’argomentazione assumerà, sia il carattere e la portata che verranno ad essa attribuiti.

Pertanto, indipendentemente dal tipo d’uditorio cui deciderà di rivolgersi, l’oratore non potrà trascurare l’appropriato livello di considerazione che spetta al suo pubblico se vorrà conseguire il proprio scopo. Argomenti stimati convincenti per un certo uditorio potrebbero non esserlo per uno diverso; oppure potrebbero essere giudicati sfavorevolmente dallo stesso uditorio per il quale sono stati formulati, se di esso l’oratore ha una conoscenza scarsa o inadatta (p. 22):

L’argomentazione effettiva deve concepire il proprio presunto uditorio quanto più possibile vicino alla realtà. Un’immagine inadeguata dell’uditorio, risulti essa da ignoranza o da un imprevisto concorso di circostanze, può avere le conseguenze più funeste: un’argomentazione ritenuta persuasiva rischia di avere effetto repulsivo su un uditorio che giudichi negative le ragioni stimate favorevoli all’argomento in questione.

Ne deriva una conseguenza che l’oratore determinato a raggiungere l’obiettivo non dovrebbe sottostimare. Un buon argomentare non esige solo una certa competenza nell’uso di strumenti logicoretorici, oltre che padronanza di linguaggio; né solo un’adeguata dimestichezza con i contenuti intorno a cui si argomenta – due punti già evidenziati trattando dell’argomentazione filosofica. Un buon argomentare richiede anche una rappresentazione quanto più precisa ed esaustiva possibile del pubblico cui si sottopongono gli argomenti (p. 22):

La conoscenza dell’uditorio che ci si propone di convincere è dunque condizione preliminare di ogni argomentazione efficace.

Quest’ultimo punto consente di ricongiungerci al carattere tendenzialmente consensuale dell’attività argomentativa, cui più volte abbiamo accennato tra le righe, poiché i due caratteri dell’argomentazione sopraesposti – presenza dell’uditorio e tendenza all’accordonon sono affatto disgiunti. Difatti, come ricordano gli autori del Trattato (p. 20):

Giacché mira ad ottenere l’adesione di coloro ai quali si rivolge, l’argomentazione è, nel suo insieme, relativa all’uditorio sul quale vuole influire.

L’argomentazione si svolge in funzione di un uditorio proprio perché il suo obiettivo è esercitare un influsso su quell’uditorio. «Ottenere l’adesione di coloro ai quali si rivolge»: questa, secondo gli autori del Trattato, è la finalità dell’argomentazione. O forse, per meglio dire, è lo scopo di ciascun oratore (o scrittore) nel momento in cui, presa la parola (o la penna), formula quegli argomenti che gli serviranno da strumenti per giungere a un accordo.

In quanto pratica argomentativa, la filosofia non fa eccezione. Il fine del filosofo-oratore che argomenta sarà conseguire l’accordo con il suo uditorio. Questo carattere tendenzialmente consensuale dell’argomentazione – e a fortiori della filosofia – è un aspetto degno della massima considerazione. Presto proveremo a capire perché.

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