Temi e protagonisti della filosofia

Fare filosofia è argomentare (6)

Fare filosofia è argomentare (6)

Mag 11

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Articolo precedente: Fare filosofia è argomentare (5)

Disputa filosofica
Parte terza

Lo spirito della disputatio, che è spirito protagoreo, fa da valido contrappeso a due presunzioni. La prima presunzione è un vero pregiudizio: che un’idea si imponga per merito proprio, perché è in sé la migliore. L’idea è connessa alla convinzione che la verità sia evidente e che si automanifesti, con tutte le implicazioni autoritarie del caso, evidenziate e temute da Popper.

Elencare e contrapporre argomenti pro-e-contro è certamente lecito e utile. Ma è solo un’operazione preliminare, in sé vana e persino frastornante, se non si riesce, come si è detto, a trasformare l’abbinamento in un modulo pro-o-contro, tale che renda possibile trasformare un «x vale quanto y» in «x è meglio di y perché»; che consenta cioè una valutazione ponderata e quindi una scelta fra le due posizioni. Naturalmente quell’«o» va inteso in senso non tassativamente avversativo, perché, come scrive John Stuart Mill,

dovunque sia possibile una differenza di opinioni, cioè in ogni campo, esclusa la matematica, la verità dipende dall’individuazione dell’equilibrio tra due gruppi di ragioni contrastanti [1].

Un’educazione retorica, in questo senso, è una educazione al dibattito, alla valutazione ponderata dei pro e dei contro, che consenta di trasformare il modulo avversativo-coordinativo pro e contro in un modulo avversativo-eliminatorio pro o contro.

A queste condizioni vale ed è opportuno difendere il diritto di mettere tutto in dubbio. È un diritto che insieme è anche un dovere e può diventare persino un piacere.

Non sarebbe male recuperare un logos odierno, che inglobi ragione e discorso, ratio e oratio come ai bei tempi in Grecia e a Roma. Recuperare lo spirito e la sostanza, il divertimento e il valore dei dissoi logoi, dell’argumentatio in utramque partem, delle controversiae. Benché oggi gli ideali educativi si conformino più a Platone e ad Aristotele che a Isocrate, Cicerone e Quintiliano, la retorica sembra essere altrettanto liberante della filosofia [2]. La retorica è una delle canoniche arti liberali, ma anche una forma di educazione liberale. La filosofia è liberale e liberante, perché, pur non avendo certezze da esternare e da trasmettere, può liberarci dagli ostacoli o dai problemi fasulli, dai preconcetti e dai pregiudizi, dai falsi problemi, dalle soluzioni non risolutive. Retorica e filosofia combinate dovrebbero essere il massimo dell’educazione liberale e la condizione perché tornino ad esserci retori, e filosofi, felici [3].

Note

[1] Mill, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano, 1981, p. 62.

[2] Sull’educazione liberale e liberante, obiettivo di volta in volta conteso tra due tradizioni in conflitto, quella oratoria e quella filosofica, si veda Bruce A. Kimball, Orators and Philosophers. A History of the Idea of Liberal Education, College Entrance Examination Board, New York, 1986, 1995 (2a ed.). Isocrate, Cicerone, Quintiliano, Marziano Capella, Cassiodoro, Isidoro, Erasmo, Martin Lutero, Melantone sono inclusi tra i rappresentanti del filone oratorio. Socrate-Platone, Aristotele, Boezio, Scoto Eriugena, Tommaso d’Aquino, gli Illuministi tra gli esponenti della tradizione filosofica.

[3] Tz. Todorov, lamentandone l’assenza nei duemila anni appena trascorsi, si chiedeva:«ci saranno di nuovo un giorno, come nei primi tempi in Grecia e a Roma, retori felici?» (Teorie del simbolo, Garzanti, Milano, 1984, p. 98) E, pur auspicandolo, rispondeva che è temerario affermarlo. Non mi pare invece temerario affermare che alla retorica, non ristretta e non mutilata, non mancano oggi né occasioni né capacità di esercitarsi anche in ambito didattico.

Riferimenti bibliografici

Michael Billig, Arguing and Thinking. A Rhetorical Approach to Social Psychology, European Monographs in Social Psychology, Cambridge University Press e Editions de la Maison de l’homme, Paris, 1987.

Adelino Cattani, Botta e risposta. L’arte della replica, Il Mulino, Bologna, 2001.

Thomas Conley, Rhetoric in the European Tradition, The University of Chicago Press, Chicago and London, 1990.

Guillaume Heytesbury, Sophismata asinina, a cura di Fabienne Pironet, Vrin, Paris, 1994.

Bruce A. Kimball, Orators and Philosophers. A History of the Idea of Liberal Education, College Entrance Examination Board, New York, 1995.

Richard A. Lanham, The ‘Q’ Question, in «The South Atlantic Quarterly», 87, 1988, pp. 653-700.

Jeff Mason, Philosophical Rhetoric. The function of indirection in philosophical writing, Routledge, London e New York, 1989.

John Stuart Mill, On liberty, 1858; trad. it. Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano, 1999.

Thomas O. Sloane, On the Contrary. The protocol of the rhetorical tradition, The Catholic University of America Press, Washington, 1997.

Martin Warner, Philosophical Finesse. Studies in the Art of the Rational Persuasion, Clarendon Press, Oxford 1989.

Katheel E. Welch, The Contemporary Reception of Classical Rhetoric: Appropriations of Ancient Discourse, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale,1990.

Articolo iniziale: Fare filosofia è argomentare (1)


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1 comment

  1. Davide

    Buongiorno professor Cattani,mi permetto di riproporle una domanda. Come può esistere un atteggiamento solipsistico ? Il mondo comunque non è di per se un continuo stimolo al dubbio? Come può una persona o un filosofo sottrarsi al dubbio o alla contrapposizione, a uno stimolo esterno? Un saggio come può essere il risultato di un “atteggiamento monologico”? Comunque dovrebbe essere il risultato di uno stimolo mentale sempre derivante da un confronto o una polemica, nel suo significato etimologico; come può esistere un modo di fare filosofia che preveda un solo attore?

    La ringrazio.

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