Temi e protagonisti della filosofia

Fare filosofia è argomentare (5)

Fare filosofia è argomentare (5)

Apr 05

[ad#Ret Big]

Articolo precedente: Fare filosofia è argomentare (4)

Disputa filosofica
Parte seconda

Nella cultura medievale c’era interesse, voglia e capacità di spiegare anche ciò che il calcolo logico non riesce a spiegare [1]. Sembra, come dice Robert Blanché, che la logica per meglio conseguire uno dei suoi scopi (validità) abbia dovuto sacrificare l’altro (verità). Per diventare scienza nel senso forte, la logica ha dovuto rompere quell’equilibrio che la logica classica e medioevale avevano cercato tra metodo e oggetto, tra coerenza formale e corrispondenza con la logica naturale. La sua forza è anche il suo tallone d’Achille. La logica formale infatti per essere valida sempre, ovunque e per tutti (e questo è il suo grande merito) non può e non deve tenere conto delle particolarità della situazione, del giudice o dell’uditorio (è questo il suo punto debole). In effetti, a differenza e in più rispetto alla dimostrazione logica, la disputa dialettica e l’argomentazione retorica avevano almeno un triplice valore: un valore apologetico (interpretazione dei testi), un valore pedagogico-educativo (acquisizione di abiti mentali ), un valore strumentale (acquisizione di abilità e di tecniche specifiche, nelle varie arti della prosa, della composizione, della predicazione).

La tradizione della retorica antica, medioevale e rinascimentale è più sofisticata, più articolata, più complessa di quanto si pensi; e contempla idealità e metodologie che potrebbero essere utilmente recuperate: si potrebbe recuperare, ad esempio, l’idealità della retorica pedagogica e la metodologia della formazione retorica di stampo quintilianeo, all’insegna del vir bonus dicendi (e disputandi) peritus; e quella di stampo erasmiano, all’insegna della copia o versatilità concettuale e lessicale; e ritornare alla retorica intesa e praticata come arte della disputatio in utramque partem o in contrarias partes, come si diceva.

Della disputa sono interessanti, dal punto di vista didattico, vuoi le finalità e le funzioni, vuoi la metodologia e la procedura.

Nelle dispute era in effetti spesso presente una componente sportiva e di teatrale sfoggio di competenza e di maestria professionale; era a volte un esercizio di improvvisazione teatrale, come si fa a volte nelle scuole e nelle gare fra attori. Se si limitava a questa finalità, la disputa si diceva litigiosa: una contesa di natura prettamente competitiva, in cui ciascuno dei contendenti mirava, senza remore, senza scrupoli e usando ogni mezzo a disposizione, a far valere settariamente e capziosamente la sua posizione e il suo nome.

Oltre ad essere un avvenimento pubblico di grande richiamo, la disputatio era un metodo per insegnare e ribadire la verità: una forma di esercitazione universitaria. Era la disputa didattica (doctrinalis, veniva detta a quei tempi), parte integrante del curriculum scolastico e fase centrale del processo educativo, in cui erano obbligatoriamente coinvolti insegnanti e allievi. Le funzioni erano molteplici:

1. serviva a insegnare ad analizzare e suddividere,

2. ad addestrare all’esposizione delle proprie tesi,

3. ad abituare a porre domande e a far fronte alle obiezioni,

4. ad affinare l’ingegno e a coltivare la prontezza nella replica,

5. a dare fondamento argomentativo a cose già note.

In terzo luogo era concepita come un metodo per scoprire la verità: un procedimento per dimostrare la verità seguendo una metodologia «scientifica», ovviamente secondo i canoni di scientificità dell’epoca. Una disputa non era quindi solo una faccenda di esibizione, ma aveva altresì finalità dimostrative o anche solo esplorative (in tal caso era detta disputatio tentativa et dialectica); era un processo che mirava all’armonia della verità a partire dal conflitto. [2]

La disputa poteva anche assolvere ad una funzione non istituzionalizzata, ma non trascurabile, e diventare un espediente per mettere in circolazione idee contrastanti evitando l’accusa di incoerenza [3] o per affacciare idee eterodosse evitando d’incappare nei fulmini inquisitori.

 

Note

[1] Mi riferisco a quelli che in logica vanno sotto il nome di condizionali controfattuali, le famigerate proposizioni che dal punto di vista logico sono del tutto accettabili, mentre dal punto di vista discorsivo suonano assurde e paradossali. Mi riferisco inoltre a certi enunciati bizzarri, spiazzanti, ancora assurdi o paradossali, che venivano usati in funzione educativa: ad esempio i famosi sophismata (cfr. Sophismata asinina di Guillaume Heytesbury, a cura di Fabienne Pironet, Vrin, Paris, 1994) che definivano i limiti di una regola, che fungevano da strumento di collaudo, un collaudo, forzato fino all’estremo della sopportazione, di una tesi e della sua controtesi. E che avevano anche una funzione pedagogica nel senso che abituavano a servirsi di tutte le risorse logiche a favore o contro una data conclusione.

[2] Tommaso d’Aquino (attribuito), Opusc. XLIII, De Fallaciis, cap. 2.

[3] Un’ipotesi simile viene formulata da Montaigne a proposito dei dialoghi platonici: «Mi sembra che Platone abbia prediletto quel modo di filosofare per dialoghi a ragion veduta, per collocare più decorosamente in diverse bocche la diversità e la mutevolezza delle sue stesse idee» (Saggi, II, 12; trad. it. a cura di F. Garavini, Mondadori, Milano, 1970, p. 667).

 

Articolo successivo: Fare filosofia è argomentare (6)


Ti è piaciuto il post? Dona a Filosofia Blog!

Cliccando sul pulsante qui sotto puoi donare a Filosofia Blog una piccola cifra, anche solo 2 euro, pagando in modo sicuro e senza commissioni. Così facendo contribuirai a mantenere i costi vivi di Filosofia Blog. Il servizio di donazioni si appoggia sul circuito il più diffuso e sicuro metodo di pagamento online, usato da più di 150 milioni di persone. Per poter effettuare la donazione non è necessario avere un account Paypal, basta avere una qualsiasi carta di credito o Postepay. Grazie!

Leave a Reply