Temi e protagonisti della filosofia

Aristotele, Fisica, I, 2

Aristotele, Fisica, I, 2

Feb 22

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[184b15] Ordunque, di necessità o il principio è unico o ci sono molteplici principi [anankē d’ ētoi mian einai tēn archēn ē pleious]; e, se [ei] unico, è o immobile [ē akinēton], come dicono [hōs phēsi] Parmenide e Melisso, o mosso [ē kinoumenēn], come dicono i fisici, alcuni dicendo che il principio primo è aria, altri che è acqua [hōsper hoi phüsikoi, hoi men aera phaskontes einai hoi d’ hüdōr tēn prōtēn archēn]; se invece [de] sono molteplici, sono o finiti [peperasmenas] o infiniti [apeirous]; quindi, se finiti, sono più di uno [kai ei peperasmenas pleious de mias], o due o tre o quattro [20] o qualche altro numero [allon tina arithmon], e, se infiniti, o sono, così come [houtōs hōsper] dice Democrito, uno quanto al genere e non nella figura [to genos hen schēmati de], o differenti nella specie [eidei diapherousas] o anche contrari [enantias]. E similmente ricercano pure coloro che ricercano quanti sono gli enti [homoiōs de zētousi kai hoi ta onta zētountes posa]: infatti cercano se le cose, dalle quali come prime si generano gli enti, siano una o molte [ex hōn gar ta onta esti prōtōn zētousi tauta poteron hen ē polla], e, se molte, finite [peperasmena] o infinite [apeira] [25], e così [hōste] ricercano se il principio e l’elemento [to stoicheion] siano uno o molti.

Comunque l’esaminare se l’ente [to men oun ei… to on skopein] sia uno ed immobile non è scopo della scienza della natura [ou peri phüseōs esti skopein] [185a]: come [hōsper], infatti, non è più propria del geometra la discussione contro chi nega i principi, ma è o di un’altra scienza o di una comune a tutte, altrettanto non gli è propria quella sui principi [kai tōi geōmetrēi ouketi logos esti pros ton anelonta tas archas, all’ ētoi heteras epistēmēs ē pasōn koinēs, houtōs oude tōi peri archōn]; ecco, addirittura principio non v’è, se è solo l’uno od un uno siffatto [ou gar eti archē esti ei hen monon kai houtōs hen estin]. Infatti il principio è principio o di un quid o di più quid [hē gar archē ē tinos ē tinōn] [25]. Ora, l’esaminare se un uno siffatto è è simultaneo anche al controbattere a qualunque altra tesi dei discorsi fatti solo per discorrere [homoion dē to skopein ei houtōs hen kai pros allēn thesin hopoianoun dialegesthai tōn logōn heneka legomenōn] (per esempio quella eraclitea, o se qualcuno dicesse [tis phaiē] che l’ente è un unico [hena] uomo), o al dissolvere la struttura eristica che hanno ambedue gli argomenti [lüein logon heristikon hoper amphoteroi men echousin hoi logoi], sia quello di Melisso sia quello di Parmenide: ecco, assumono falsità [pseudē lambanousi] [10] ed inferiscono scorrettamente [asüllogistikoi eisin]; Melisso però è maggiormente alla portata [phortikos] e non ha impasse, tutt’altro: dato un solo assurdo, gli altri conseguono [ouk echōn aporian, all’ henos atopou dothentos ta alla sümbainei] (il che non è per nulla difficile [touto de ouden chalepon]). Per noi però sia presupposto che gli enti di natura (o tutti o alcuni) sono mossi [hēmin d’ hüpokeisthō ta phüsei ē panta ē enia kinoumena einai]: è palese dall’induzione [ek tēs epagōgēs]. Insieme a ciò comunque non conviene risolvere tutto quanto, ma [15] piuttosto quanto di falso uno afferma avendolo dimostrato da principi e non quanto non è tale [hama d’ oude lüein apanta prosēkei, all’ ē hosa ek tōn archōn tis epideiknüs pseudetai, hosa de mē, ou]; ad esempio, è proprio del geometra dissolvere la quadratura attraverso i segmenti [ton tetragōnismon ton men dia tōn mnēmatōn geōmetrikou dialüsai], ma non è proprio del geometra dissolvere quella di Antifonte. Peraltro dal fatto che non indaghino intorno alla natura non segue comunque che essi non concorrano a discutere delle impasse fisiche [ou mēn all’ epeidē peri phüseōs men ou phüsikas de aporias sümbainei legein autois]; forse siamo giustamente tenuti a discutere [dialechthēnai] un po’ [20] intorno a loro: questo esame [hē skepsis), infatti, attiene [echei] alla filosofia [philosophian].

Ordunque, l’inizio [archē] più appropriato [oikeiotatē] di tutti è: poiché ‘l’ente’ si dice in molti sensi, cosa dicono coloro che dicono che tutte le cose sono uno [pollachōs legetai to on, pōs legousin hoi legontes einai hen ta panta]? Forse dicono che tutte le cose sono un’essenza o dei quanta o dei qualia [poteron ousian ta panta ē posa ē poia]? E, daccapo, se dicono che tutte le cose sono un’unica essenza, lo sono come un unico uomo o come un unico cavallo o come [25] un’unica anima [palin poteron ousian mian ta panta, hoion anthrōpon hena ē ippon hena ē psüchēn mian]? Se [ē] dicono che ciò [touto] è invece un unico quale [poion hen], lo è come bianco o come caldo o come una delle altre tra tali cose [tōn allōn ti tōn toioutōn]? Tutte queste cose, ecco, differiscono molto, eppure sono impossibili a dirsi [tauta gar panta diapherei te polü kai adünata legein]. Ordunque, se tutte le cose saranno sia essenza sia quale sia quantum (siano poi esse sciolte l’una dall’altra o meno), gli enti saranno molti [ei men gar estai kai ousia kai poion kai poson, kai tauta eit’ apolelümena ap’ allēlōn eite mē, polla ta onta]; se invece saranno tutte quale o quantum (sia essendoci essenza [30] sia non essendoci), ciò sarà assurdo, se si deve dire ‘assurdo’ l’impossibile [ei de panta poion ē poson, eit’ ousēs ousias eite mē ousēs, atopon, ei dei atopon legein to adünaton]. Infatti, a parte l’essenza [para tēn ousian], nessuna [outhen] delle altre categorie [tōn allōn] è separabile [chōriston]: tutto quanto [panta], infatti, si dice dell’essenza come sostrato [kathüpokeimenou legetai tēs ousias].

Melisso però dice che l’ente è infinito [de to on apeiron einai phēsi]: l’ente allora sarebbe quantum [poson ara ti to on]: infatti l’infinito è nel quantum, ma [185a] è inammissibile che un’essenza o una qualità o un patire siano infiniti se non per concomitanza, qualora insieme ci fossero dei quanta [to gar apeiron en tōi posōi, ousian de apeiron einai ē poiotēti ē pathos ouk endechetai ei mē kata sümbebēkos, ei hama kai posa atta eien]; infatti il concetto [ho… logos] dell’‘infinito’ abbisogna del quantum [tōi posōi proschrētai] ma non dell’essenza [ousiai] né del quale [tōi poiōi]. Orbene [men toinün], se è sia [kai] sostanza sia [kai] quantum, l’ente sarà duplice [düo] e non [ouch] uno; se invece è solo [monon] essenza, [5] non sarà infinito né avrà grandezza alcuna [oude megethos exei ouden] (infatti la grandezza è un quantum [poson… ti]).

Inoltre, poiché anche ‘l’uno’ stesso si dice in molti sensi (proprio come ‘l’ente’), è da esaminarsi in che senso dicono che il tutto è uno [eti epei kai auto to hen pollachōs legetai hōsper kai to on, skepteon tina tropon legousin einai hen to pan]. Ma si dicono ‘uno’ o il continuo o l’indiviso o quelle cose il cui concetto è lo stesso e la cui definizione del ciò-che-era-essere è unica [legetai d’ hen ē to süneches ē to adiaireton ē hōn ho logos ho autos kai heis ho tou ti ēn einai] (per esempio ‘bacco’ e ‘vino’). Orbene, se [10] continuo, l’uno è molteplice [polla to hen]: infatti il continuo è divisibile [diaireton] all’infinito [eis apeiron]. Si ha però un’impasse sulla parte e l’intero [echei d’ aporian peri tou merous kai tou holou] (peraltro forse non è legata a questa discussione, ma è un’impasse in sé e per sé [isōs de ou pros ton logon all’ autēn kathautēn]): la parte e l’intero sono forse uno o di più [poteron hen ē pleiō to meros kai to holon]? E in qual modo [pōs] uno o di più? E, se di più, in qual modo di più [ei pleiō, pōs pleiō]? E che dire delle parti che non sono continue [kai peri tōn merōn tōn mē sünechōn]? [15] E se rispetto all’intero ciascun uno è in qualche modo indivisibile, così saranno anche esse tra loro stesse [ei tōi holōi hen hekateron hōs adiaireton, hoti kai auta hautais]. Ora, però, se si dice ‘l’uno’ come indivisibile, non sarà né quantumquale, e quindi non sarà infinito l’ente [alla mēn ei hōs adiaireton, outhen estai poson oude poion, oude dē apeiron to on], come dice Melisso, né delimitato [oude peperasmenon], come dice Parmenide: infatti indivisibile è il limite [to… peras], non il delimitato [ou to peperasmenon]. Ora, però, se [20] tutti gli enti sono determinati come uno [ei tōi logōi hen ta onta panta] (come ‘tunica’ e ‘indumento’), ne consegue un argomentare su di essi secondo l’argomento di Eraclito [ton Hērakleitou logon sümbainei legein autois]: infatti sarà lo stesso [tauton] essere nel bene e nel male [estai agathōi kai kakōi einai], ed essere nel bene e non essere nel bene [mē agathōi], e così [hōste] saranno [estai] lo stesso bene [agathon] e non-bene [ou agathon], uomo e cavallo, e l’argomento sarà non intorno all’essere uno degli enti, ma intorno all’essere [25] niente [ou peri tou hen einai ho logos estai alla peri tou mēden], e l’essere questo quale [to toiōidi einai] e questo quantum [tosōidi] sarà lo stesso.

Ma anche quelli posteriori tra gli antichi si agitavano perché non sembrasse fosse loro congeniale l’affermazione che lo stesso sono l’uno ed i molti [ethorübounto de kai hoi hüsteroi tōn archaiōn hopōs mē hama genētai autois to auto hen kai polla]. Perciò alcuni [dio hoi men], come Licofrone, tolsero l’’è’ [to estin apheilon]; altri, invece, ristrutturano il linguaggio, dicendo non che l’uomo “è pallido” bensì che “pallideggia” e non che [30] “è andante” bensì che “anda” per non far giammai sì che l’uno sia molti attaccandogli l’’è’ siccome è detto in un solo senso l’uno o l’ente [hoi de tēn lexin meterrüthmizon, hoti ho anthrōpos ou leukos estin alla leleukōtai, oude badizōn estin alla badizei, hina mē pote to esti prosaaptontes polla einai poiōsi to hen, hōs monachōs legomenou tou henos ē tou ontos]. Gli enti però [de] sono molti o nel concetto [ē logōi] ‒ ad esempio altro è l’essere come pallido, altro come intellettuale, anche se poi lo stesso ente è come entrambi [allo to leukōi einai kai mousikōi, to d’ auto amphō]: l’uno sarebbe allora molti [polla ara to hen] ‒ o nella divisione, come avviene per l’intero e le parti [ē diairesei, hōsper to holon kai ta merē]. Cionondimeno [186a] furono così in impasse che concordarono nel dire che l’uno è i molti, come se non fosse ammissibile che uno e molti sono lo stesso ma non opposti [entautha de ēdē ēporoun, kai hōmologoun to hen polla einai ‒ hōsper ouk endechomenon tauton hen te kai polla einai, mē tantikeimena de]: infatti l’uno è sia in potenza sia in atto [esti gar to hen kai dünamei kai entelecheiai].


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