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L’argomento per etimologia (4)

L’argomento per etimologia (4)

Dic 20

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Articolo precedente: L’argomento per etimologia (3)

Fallacia etimologica

Le parole cambiano nel tempo. E spesso anche i loro significati mutano, superficialmente o in modo sostanziale. Queste trasformazioni possono riguardare l’estensione (allargamento o restringimento di significato) oppure la connotazione (miglioramento o peggioramento di significato). Talvolta, il significato dell’etimo può cambiare completamente, perdendo così qualunque connessione certa con il significato della parola corrente. Poiché i significati si modificano nel tempo, il significato di un etimo potrebbe essere molto differente dal significato della parola che ne deriva.

La fallacia etimologica (nota anche come abuso dell’etimologia) è un errore di logica informale. Si tratta di un modo di argomentare fondato su una falsa premessa: la credenza che il significato di una parola d’uso quotidiano sia necessariamente identico o simile al significato del suo etimo. L’assunto è che, siccome una parola deriva storicamente da un etimo, che indicava in origine una certa cosa, essa significhi oggi la stessa cosa, anche a distanza di molto tempo e in un contesto completamente diverso.

Un argomento contiene una fallacia etimologica quando, cercando di suffragare una tesi fondandola sul significato etimologico di uno dei suoi termini principali, presume l’identità tra il significato del termine e il significato del suo etimo. Argomentare in questo modo comporta ignorare, o sottovalutare, l’eventualità che nel tempo la trasformazione di una parola sia stata accompagnata da un mutamento di significato. L’esito è il ricorso esclusivo – e pertanto fallace – all’etimologia per la comprensione del significato di un termine corrente.

Naturalmente, è possibile che il significato di una parola corrente sia identico al significato del suo etimo. Nel caso in cui vi fosse effettiva identità tra significati, la legittimità dell’argomento non sarebbe in discussione, ma la sua efficacia sarebbe scarsa o nulla: perché ragionare sull’etimo quando si può farlo direttamente sulla parola corrente? Il ricorso all’etimologia potrà essere una deviazione interessante a livello storico e affascinante sul piano letterario, ma ai fini dell’argomentazione diventa una mossa pleonastica e ridondante.

Osservazioni conclusive

L’argomento per etimologia è uno strumento dialettico estremamente delicato da maneggiare. Benché non sia necessariamente fallace, è una strategia irta di difficoltà. Eppure, alcuni lo praticano con una leggerezza e una frequenza sorprendenti: avvocati e giornalisti, politici e pubblicisti, saggisti e conferenzieri… e filosofi, certamente!

In sintesi: da un lato, che il significato dell’etimo sia il “vero” significato di un termine corrente, quando i due significati sono differenti, è un assunto difficile da provare, sia per ragioni tecnico-linguistiche, sia presumendo l’attualità della comunicazione. Dall’altro lato, non è scontato che, poiché una parola ha un significato originario, essa continui a mantenere nel tempo lo stesso significato o uno direttamente correlato. Pertanto, risalire a un significato antico per parlare di un significato moderno, è una mossa argomentativa poco affidabile e spesso fuorviante, quando non è apertamente fallace.

Si potrebbe sostenere che l’analisi etimologica debba essere impiegata solo quando essa è utile a comprendere il significato contemporaneo di una parola, ossia quando è davvero illuminante. Però il problema resta: quando lo è realmente? Il significato di una parola corrente non è fissato in modo definitivo dal suo uso originario, né è necessariamente uguale o simile al significato del suo etimo.

In conclusione, è saggio utilizzare l’argomento per etimologia? Forse è più prudente ascoltare la parafrasi profana del motto evangelico: se desideriamo edificare una casa salda (nel nostro caso, formulare un argomento convincente) è meglio costruirla sulla roccia (ossia fondarlo su premesse ragionevolmente solide) o almeno evitare di poggiarla sulla sabbia (ossia su premesse evidentemente deboli).

L’argomento per etimologia non fornisce fondamenta robuste. Data la discutibilità dei suoi presupposti, da solo non basta ad avvalorare una tesi, ma andrebbe accompagnato da altri argomenti, possibilmente più forti. Quindi, se davvero ci preme utilizzarlo, assicuriamoci di non affidarci solo a quello e accertiamoci che non sia il migliore tra gli argomenti a nostra disposizione.

Bibliografia

  • G. Boniolo e P. Vidali, Strumenti per ragionare (2011)
  • M. Dardano e P. Trifone, Grammatica italiana (1995)
  • A. Gilardoni, Logica e argomentazione. Un prontuario (2005)
  • N. Warburton, Thinking from A to Z (2000)

Sitografia

  • G. Curtis, “Etymological Fallacy”, in Fallacy Files (www.fallacyfiles.org)
  • B. Dowden, “Fallacy”, in The Internet Enciclopedia of Philosophy (www.iep.utm.edu)
  • D. Lyman, “Etymological Fallacy”, in Associated Content from Yahoo (www.associatedcontent.com)
  • P. Vidali, “Etimologia”, in Argomentare (www.argomentare.it)
  • Online Etymology Dictionary (www.etymonline.com)

Articolo iniziale: L’argomento per etimologia (1)


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2 comments

  1. Paola Pavese

    L’etimologia racchiude un significato il più delle volte perduto. Questo non significa che sia privo, questo significato antico, di interesse nel presente. E’, il significato etimologico, una suggestione, antica, che ha fondato un significato e un atto comunicativo. Non vedo come possa essere privo di interesse. Il ragionanare senza suggestione, che lei propone, lo trovo poco attinente all’esperienza umana, non trova? o meglio, estremamente riduttivo. E che la filosofia si voglia basare solo su un tratto del vivere, questo è un problema filosofico di non scarso interesse …

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      Stefano Corsi

      Paola,

      meglio sgomberare il campo da fraintendimenti, perché temo che Lei mi attribuisca almeno due tesi che non ho espresso nella serie di articoli sull’argomento per etimologia (e che comunque difficilmente propugnerei in altri contesti). In primo luogo, non ho sostenuto che il significato dell’etimo «sia privo di interesse nel presente», ma che – in alcuni casi e a certe condizioni – sia di scarsa utilità per la formulazione di un buon ragionamento. Ritenere che sia sempre utile per la formulazione di buoni ragionamenti è una fallacia dalla quale bisognerebbe guardarsi. Pertanto, ho parlato di utilità o al massimo di efficacia, non di interesse: sono cose diverse.

      In secondo luogo, non ho sostenuto la proposta di «ragionare senza suggestione». E non l’ho sostenuta semplicemente perché: (1) la tesi secondo cui il significato dell’etimo sarebbe una suggestione non è mia, ma Sua; (2) anche se accettassi questa tesi, in nessun articolo della serie propongo di escludere l’uso dei significati degli etimi dalla formulazione dei ragionamenti. Al contrario, reputo legittimo l’argomento etimologico (quando non è fallace), purché chi lo usa abbia la consapevolezza dei limiti di questa mossa argomentativa e dei rischi a cui conduce.

      Chiarito che ho sostenuto tesi diverse da quelle che mi attribuisce, aggiungo una breve osservazione circa ragionamento e suggestione. Ritengo che quando si voglia costruire un buon ragionamento si debbano considerare due condizioni necessarie: (1) la fondatezza, ossia la verità di tutte le premesse, e (2) la validità o la forza dell’inferenza che porta alla conclusione. Queste due condizioni combinate garantiscono correttezza o cogenza al ragionamento. Invece, non mi risulta che la suggestione sia una condizione necessaria né sufficiente per un buon ragionamento, dato che essa appartiene più al campo del gusto personale e della poesia, che al campo della logica e della filosofia in senso stretto. Ciò non significa che un ragionamento non possa essere suggestivo, ma significa che essere suggestivo non è una proprietà indispensabile per un buon ragionamento.

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