Temi e protagonisti della filosofia

ARISTOTELE: METAFISICA, LIBRO A; PARTE 2

ARISTOTELE: METAFISICA, LIBRO A; PARTE 2

Dic 19

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Riprendiamo da dove eravamo rimasti. Una volta fatta la distinzione dei gradi della sapienza, con cui ci siamo lasciati nell’ultimo post, Aristotele fa delle considerazioni antropologiche. La ricerca della sapienza si esercita come ultimo gradino di una scala di bisogni, allorché una società si sviluppi liberando una parte dei suoi componenti dai lavori manuali atti al conseguimento dei bisogni primari (e su questo argomento vi faccio la pubblicità gratuita di: “Armi, acciaio, malattie” di Jared Diamond sulle origini delle società umane, tesi, la sua, che dimostra l’inesistenza di differenze razziali all’interno della specie uomo, ma solo uno sviluppo storico coerente alla geografia).

La scala dei bisogni di Aristotele, che verrà più volte ripresa in questo capitolo (ma che Aristotele tratterà compiutamente nei trattati di etica) è la seguente:

1- Bisogni primari: mangiare, dormire, coprirsi contro il freddo e il caldo.

2- Bisogni legati al bello, sviluppo delle arti.

3- Bisogni legati alla sapienza in sé, bisogni teoretici. Aristotele specifica che è più sapiente chi pratica un’arte “architettonica” di un’arte “manuale”; nelle scienze è più sapiente chi conosce una scienza “teoretica” di una scienza “poietica” (cioè produttiva), o sia che viene prima una scienza in vista di un fine, mentra al grado più alto la teoresi pura in vista di nessun fine.

Ogni grado successivo necessita che i gradi precedenti siano esauditi, ciò implica un adeguato sviluppo della società.

Aristotele ci illustra come ci troviamo di fronte ad una proporzione inversa: ciò che è più necessario sono i bisogni primari (es.: mangiare), mentre è maggior sapiente chi si dedica alla teoresi che non ha in vista un fine (la matematica di per sé non ha in vista un fine, ma molte applicazioni, ma non è la scienza più alta perché parte da premesse). Queste due linee, rispettivamente del bisogno e della sapienza sono inversamente proporzionali, al crescere dell’una l’altra decresce e viceversa. Da notare che la sapienza è da ricercarsi quando sia esaudita anche la richiesta del bello, dell’arte della musica, della bellezza nella vita. Altrimenti la teoresi pura è vuota e dannosa.

Nella gerarchia dei saperi abbiamo detto che è più sapiente chi conosce le cause. Ma ciò è vago, Aristotele, come abbiamo già visto, raccoglie le convinzioni che si hanno a riguardo dell’essere sapiente nel senso comune, quindi le elenca (la numerazione non è di Aristotele ma nostra, per semplificare):

1- il sapiente conosce ogni cosa nel modo più profondo possibile, non potendo però conoscerle tutte bene ossia in modo “indefettibile”;

2- è sapiente chi conosce le cose difficili, quelle più lontane dalla semplice sensazione;

3- chi è più rigoroso;

4- più capace di insegnare le cause;

5- è più sapiente chi si occupa delle scienze in virtù di ciò che è puro piuttosto di ciò che in vista delle conseguenze;

6-inoltre la scienza più atta a comandare è di un grado maggiore rispetto alle scienze subordinate, così come ci si aspetta che il meno sapiente dia retta al più sapiente.

Successivamente Aristotele analizza queste convinzioni del senso comune:

1- […] il conoscere tutte le cose è necessario che appartenga a chi possiede al massimo grado la scienza universale, giacché costui in qualche modo conosce tutte le cose che stanno sotto di essa.

2- […] forse, queste cose son anche le più difficili da conoscere per gli uomini. Infatti, le cose massimamente universali sono le più distanti dalle sensazioni.

3- Ancora, le più rigorose fra le scienze sono quelle che soprattutto hanno per oggetto le cose prime: infatti, quelle che procedono da un numero minore <di premesse> sono più rigorose di quelle che derivano da <premesse> che si dicono in aggiunta: per esempio, l’aritmetica <è più rigorosa> della geometria.

Questo è un tema molto importante per lo sviluppo della filosofia: ogni scienza antica o moderna si sviluppa su un novero di determinate premesse, che sono degli assunti, cioè delle conoscenze di base considerate autoevidenti, o comunque non indagate. La biologia si distingue dalla mineralogia, perché hanno oggetti e punti di partenza diversi, l’una parte dalla vita, l’altra dal minerale. Infatti non è in questione per la biologia una definizione pura di vita, quanto piuttosto considerare le varie forme di vita, e per conoscerle anche catalogarle, misurarle. Quindi la biologia presuppone anche la matematica e la geometria, (per dire che ci sono due polmoni, che pesano  mediamente un numero specifico di grammi e così via). La biologia inoltre presuppone per molti versi la mineralogia, pur non essendo mineralogia. Infatti gli organismi viventi si sono sviluppati evoluzionisticamente da un sostrato minerale. Ma la biologia non si occupa della mineralogia, perché il suo oggetto è diverso, quindi la dà semplicemente per assodata, salvo poi farci qualche capatina per il proprio uso e consumo (tipo per dire che nelle ossa dei mammiferi vi è calcio, senza però specificare come si forma geologicamente il calcio). Se in linea di principio risaliamo la catena delle cause e dei presupposti verso quella scienza che non ne presuppone altre, che non ha altra causa ma è il capostipite della catena causale, e che non si accontenta quindi di alcun presupposto (cosa che crea problemi da sempre per la filosofia, restando non di meno un requisito imprescindibile) ci troviamo di fronte alla sapienza somma, una forma di sapere tanto lontana dai bisogni quanto letteralmente fondamentale per tutte le altre scienze: questa è la filosofia.

4- Ma in realtà quella che è atta a studiare le cause è maggiormente capace di insegnare […]

Qui si potrebbe aprire un intero convegno. La cognizione aristotelica era quella di chi aveva studiato per vent’anni alla scuola del suo maestro considerata una delle eccellenze e che poi, come persona e scienziato aveva iniziato una vita dedicata alla “meraviglia” e alla conoscenza rigorosa molto prima del metodo scientifico. Aristotele era in possesso del meglio della sua cultura in ogni declinazione e così (anche attraverso Aristotele) era considerato (e formato) il sapiente nel medioevo sud europeo, e altrettanto lo fu, sempre per esempio, per millenni fra i celti la figure del druido (da cui deriva la tradizione del famoso mago Merlino: forse originariamente una figura di sapiente in molti ambiti tanto da essere considerato sovrumano, i druidi dovevano essi stessi sottoporsi ad un periodo di studi simile a quello di Aristotele, per poi ritornare al loro villaggio). Diciamo semplicisticamente che in Europa la specializzazione continua degli ambiti partita grossomodo nell’ottocento ma soprattutto riferibile compiutamente al novecento (forse inaugurata nella forma dalla dimensione pratica della romanitas), che ha messo fine alla conoscenza detta enciclopedica, ha permesso sia sviluppi tecnici eccezionali che una incomunicabilità nociva dei vari ambiti scientifici (si veda a questo proposito la monumentale opera di Graves: “La dea bianca”, grande analisi del mito, apertamente antifilosofica e antiscientifica come critica al sapere scientificamente inteso del novecento).

5- Il conoscere e il sapere finalizzati a se medesimi appartengono al massimo grado alla scienza di ciò che al massimo grado può conoscersi in modo indefettibile […] e massimamente conoscibili in modo indefettibile sono le cose prime e le cause.

6- Tra le scienze è atta a comandare di più, ossia è atta a comandare in misura maggiore di quella che è subordinata, quella che fa conoscere in vista di che bisogna compiere ogni cosa, giacché questo è il bene di ciascuna cosa, e in senso complesso, ciò che vi è di eccellente in ogni natura.

Questo passo, che presenta più interpretazioni, sembra voler dire che è più sapiente chi conosce le cause di una cosa e agisce per il bene di questa, affiché sia fatta al meglio, cioè con coscienza di causa come diciamo anche noi oggi. Per il resto si veda quanto già scritto sopra a riguardo della filosofia.

Aristotele conclude che:

[…] il nome che ricerchiamo cade sulla medesima [enfasi mia] scienza indefettibile: giacchè questa deve essere capace di conoscere i principi e le cause primi […].

Possiamo già qui avere una definizione della filosofia come scienza delle cause prime, una definizione ottenuta partendo dal senso comune e vagliando criticamente le opinioni dei saggi fino ad ottenere una definizione argomentata.

Infine Aristotele considera che anche gli amanti del mito, i primi poeti, che costruirono la conoscenza storica e genetica della grecità, furono animati dalla meraviglia e quindi spinti al sapere, anche se la loro metodologia non era corretta.

Mentre riguardo all’opinione comune, in circolo al suo tempo, intorno alla sapienza e gli dei, Aristotele scrive:

[…] fra le conoscenze indefettibili è divina sia quella che soprattutto Dio può possedere, sia se abbia per oggetto le cose divine. E quella qui a tema ha in sorte, essa sola entrambe queste <condizioni>: infatti è opinione diffusa che Dio faccia parte delle cause e sia un certo principio, e tale <conoscenza indefettibile> solo Dio o soprattutto Dio può possedere. Dunque tutte <le altre conoscenze> saranno più necessarie di questa, ma migliore nessuna.

Lasciamo perdere la prima parte della citazione che verrà esaminata in modo cogente molto oltre nella Metafisica quando si parlerà di Dio come causa e che qui sembra solo essere una raffinazione del senso comune per ottenere ciò che troviamo nell’ultimo periodo della citazione: quanto già espresso in apertura di questo post cioè che la filosofia è la scienza più universale che fonda ogni altra scienza particolare, la più lontana possibile dai bisogni materiali.

Per approfondire



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