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L’etica stoica XVII. Panezio sui doveri

L’etica stoica XVII. Panezio sui doveri

Giu 29

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Panezio e Posidonio, a differenza degli stoici antichi, pensano che la virtù non sia totalmente autosufficiente, ma che al suo esercizio concorrano, aristotelicamente, la vita, la salute, il vigore e la disponibilità di mezzi. Con ciò Panezio non intende negare l’identificazione del bene morale con la virtù, ma rivalutare alcune qualità naturali come non del tutto indifferenti.

Così nell’opera Sui doveri (scopiazzata da Cicerone almeno nei primi due libri del De officiis e, tramite lui, influentissima su tutto il pensiero occidentale) pone al centro non i katorthomata, cioè le azioni rette, assolutamente perfette e virtuose, ma i kathekonta, cioè i doveri, le azioni convenienti intermedie. Egli infatti vi nota che il fine della virtù quale coerenza morale contrasta solo con ciò che sembra utile, non già colle cose veramente utili, anch’esse moralmente coerenti, ossia coi beni fisici e sociali usati proprio come mezzi per raggiungerlo. Di più: separare utile e coerenza ha conseguenze praticamente fallimentari giacché chi non si cura della sua vita e del suo benessere psicofisico elimina le condizioni naturalmente necessarie dell’azione morale.

La rosa di virtù realizzabili anche grazie all’utile è più articolata rispetto a quella compatta prospettata dai predecessori; è più attenta e caritatevole verso i talenti umani e le loro basi istintuali. In effetti Panezio resta ottimisticamente ammirato dalla perfezione funzionale dei corpi organici e dall’appropriatezza degl’istinti, certo non sufficienti per la virtù umana ma infallibilmente buoni per gli esseri viventi inferiori: comuni a tutti gli esseri viventi sono per natura la vita, il corpo, il desiderio di perpetuare la vita della specie procreando nuovi corpi, l’evitare il dannoso per ricercare il necessario alla conservazione propria e della propria prole (vitto e alloggio).

Ma anche all’origine di ciascuna virtù umana Panezio pone una delle tendenze primarie dell’uomo in continuità cogl’istinti appena visti, il che è espresso nello slogan “vivere secondo le disposizioni dateci dalla natura”, sostituente il più ruvido “vivere secondo natura” degli stoici antichi. L’azione virtuosa è la manifestazione di tali peculiari tendenze conforme a quella ragione che inferisce logicamente le conseguenze, indaga le cause, gli effetti ed il mutamento dei fenomeni. Grazie a tali procedimenti razionali l’uomo istituisce analogie tra il passato ed il presente, che conosce, ed il futuro ignoto ma rapportabile alle circostanze già vissute, così da pianificare anzitempo tutto ciò che promuove il sostentamento di sé per l’intera vita.

Si assiste così a schemi di comportamento simili, per natura razionalmente armoniosi, comuni a tutti gli esseri umani, i quali si sentono quindi affini, legati da un sentimento di protettivo amore reciproco (soprattutto per i familiari e gli amici) grazie a cui il singolo riconosce nell’altro la stessa essenza razionale (secondo l’assioma: il simile conosce il simile), e con determinazione e forza d’animo maggiore perseguono assieme la sopravvivenza in modo da renderla più certa di quanto sarebbe se rimanessero isolati, facilitati in ciò dalla comunicazione verbale (logos significa anche linguaggio). L’associazione inizialmente utilitaria si colora dunque via via di un’inclinazione affettiva fine a se stessa, provata da ciascun individuo, ad associarsi in ritrovi pubblici per la pura gioia di ritrovare nell’altro il riflesso dello stesso logos che lo tiene in vita con successo.


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