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Plotino, Enneade V 9 [5: Sull’intelletto e le idee e l’essente], 5

Plotino, Enneade V 9 [5: Sull’intelletto e le idee e l’essente], 5

Lug 05

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade V 9 [5: Sull’intelletto e le idee e l’essente], 4

 
5. Occorre dunque assumere l’intelletto, se per davvero osserviamo il vero significato di questo nome, non quello in potenza né quello passato dall’insipienza all’intelligenza ‒ sennò ne ricercheremo ancora un altro prima di esso ‒, tutt’altro: quello ch’è in atto ed eternamente [sempre] intelletto. Se dunque ha una rappresentazione non occasionale [d’accatto], |5| se pensa qualcosa, lo pensa da se stesso, e se ha qualcosa, lo ha da se stesso. Se dunque pensa da se stesso ed estraendo da se stesso, egli stesso è le cose che pensa, giacché se la sua entità [sostanza] fosse una cosa e le cose che pensa altre [diverse] da lui, la sua entità [sostanza] stessa sarebbe non-pensante; e in potenza, non in atto di sicuro. Non bisogna separare quindi nessuna delle due cose |10| dall’altra. È consuetudine invece per noi separare anche quelle cose nei concetti astraendo dagli oggetti presso di noi.

Che operazione quindi mette in atto e che pensa, affinché identifichiamo lui e quelle cose che pensa? Be’, è chiaro che, giacché è l’intelletto, pensa ontologicamente gli essenti e li sostanzia. È allora gl’essenti. Giacché o penserà ch’essi siano altrove o che siano in se stesso, come [identici a] lui. |15| Ebbene, altrove è impossibile; già, dove? Allora [li penserà come] se stesso e in se stesso. Non, ordunque, nei sensibili, come credono persuasi, giacché il primo non è il sensibile, nessun [primo], giacché la forma ravvisabile in essi, osservabile sulla materia, è idolo [immagine] dell’essente, e ogni eidos [forma] ch’è in altro arriva a lui [all’altro] da altro ed è immagine di quello. Se dunque |20| vi dev’essere anche un produttore di questo universo [3], costui non penserà questi [gli essenti] in quel ch’ancora non è, al fine di produrlo. Prima del cosmo, allora, devono esservi quelle realtà, non tipi [impronte] astratti da realtà altre, tutt’altro: archetipi e principi ed entità [sostanza] dell’intelletto. Se dunque professeranno che bastano le forme razionali, è chiaro che [dovranno essere] eterne; se dunque son eterne e impassibili, occorre siano nell’intelletto, |25| ovvero [in un intelletto] di questa sorta, ovvero precedente alla coesione e alla natura e all’anima, giacché queste cose son in potenza. L’intelletto allora è ontologicamente gli enti, non pensandoli, quali sono, altrove, giacché non sono né prima di lui né dopo di lui, tutt’altro: è come il primo nomoteta [legislatore], o meglio la norma stessa dell’essere. Rettamente allora [è stato detto]: Giacché lo stesso è pensare |30| ed essere [4] e La scienza delle sostanze scevre di materia è identica alla cosa oggettiva [5] e Ho cercato me stesso [6] come uno degli essenti; e le reminiscenze, dunque; giacché nessuno degli essenti è esterno né in un luogo, permangono dunque eternamente [sempre] in se stessi, non ammettendo né cangiamento né corruzione; perciò son anche ontologicamente essenti. Oppure, se si generassero e |35| fossero aboliti, userebbero un essere occasionale [d’accatto], e non più loro ma quello sarà l’essente.

Ordunque, i sensibili sono per partecipazione ciò che son detti, quando la natura fungente da sostrato ha ottenuto la forma da altrove: come, ad esempio, il bronzo dalla scultura e il legno dalla falegnameria, mediante un idolo [un’immagine] della tecnica andante a essi, mentre la |40| tecnica stessa permane nell’identità all’esterno della materia e ha la vera scultura e il [vero] letto.

Questo dunque s’osserva anche riguardo ai corpi; e questo tutto [universo], visto ch’esibisce partecipazione alle immagini, indica che gli essenti son altri [diversi] da esse: esse son distorte, mentre quelli sono indistorcibili, e qual sede fondamentale occupano se stessi, non bisognando loro luogo, |45| giacché non son magnitudini [grandezze], bensì esibendo da se stessi una sussistenza intellettuale e autarchica. Giacché la natura dei corpi vuol esser conservata da altro, mentre l’intelletto, rinfiancando colla sua meravigliosa natura le cose che per loro stesso impeto cadono, non cerca un fondamento dove risiedere lui stesso.

 

Note

[3] Platone, Timeo, 28 c 3-4.

[4] Parmenide, frammento B 3 Diels-Kranz.

[5] Aristotele, De anima, Γ 4, 430 a 3-4; ibid., Γ 7, 431 a 1-2.

[6] Eraclito, frammento B 101 Diels-Kranz.

 
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 
Brano seguente: Plotino, Enneade V 9 [5: Sull’intelletto e le idee e l’essente], 6

 

 


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