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Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 6

Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 6

Mag 04

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 5

 

6. Giacché, dunque, una cotale natura, così bella e sempiterna, è attorno all’Uno e deriva da quello ed è in relazione a quello, non uscendo mai da esso ma permanendo sempre attorno a quello ed in quello e vivendo conformemente a quello, e questo è stato detto, come io credo, [5] da Platone con bellezza e profondità di cognizione e non altrimenti, ovvero che «l’eternità permane nell’Uno» (1) ‒ affinché essa non sia solo qualcosa che conduce se stesso ad unità relazionandosi a se stesso, ma anche la vita dell’essente attorno all’Uno sempre-se-stesso-così-com’è ‒ questo, dunque, è ciò che cerchiamo (e ciò che così permane è l’essere dell’eternità). Questo, infatti, quel che permane così ed [10] il permanente se stesso, ciò che è atto di vita permanente presso di sé in relazione a quello ed in quello e non esibisce falsamente né l’essere né il vivere, orbene, è l’eternità. Infatti il vero essere è quel che non è mai non essere né essere altrimenti: questo, dunque, è sempre-se-stesso-così-com’è: questo, dunque, non è mai differentemente. [15] Non ha quindi ora qualcosa ora qualcos’altro, né, orbene, lo distanzierai, né lo svilupperai, né lo renderai processuale, né l’estenderai, né, orbene, hai modo di cogliere di esso né qualcosa di precedente né qualcosa di posteriore. Se quindi non pertengono ad esso né un prima né un poi, mentre lo “è” è la determinazione più vera di quelle pertinenti ad esso ed è esso, ed è, ordunque, in questo modo giacché [20] è come essenza (2) o col vivere, ritorna a noi dunque questo, di cui ragioniamo: l’eternità. Quando dunque argomentiamo del sempre e neghiamo questo, che ora sia ed ora non sia, si deve considerare che è argomentato a nostro vantaggio: se, ecco, il sempre non fosse detto propriamente, ma fosse assunto a chiarificazione dell’incorruttibilità (3), svierebbe [25] allora l’anima verso l’estensione del più che non è neppure mai obliterato. Dunque forse sarebbe meglio parlare solo dell’essente, siccome “l’essente” bastava come nome dell’essenza (4), d’altronde, giacché consideravano essenza anche il divenire (5), dovettero, per cogliere mentalmente, aggiungere anche il “sempre”. Non è, infatti, che altro sia l’essente, [30] altro il sempre essente, come non è che altro sia il filosofo, altro quello verace; d’altronde, giacché c’era il sostenere la parte del filosofo, nacque l’aggiunta del “verace”. Così all’essere s’aggiunge il sempre ed all’essente s’aggiunge il sempre, cosicché si dice “sempre essente”; perciò il “sempre” va compreso come se si dicesse “veramente essente”; il sempre va anche concepito [35] come potenza inestesa la quale non abbisogna per nulla di nulla oltre a ciò che già ha: ha, ordunque, tutto.

Ebbene, tale natura è tutto ed essente e del tutto non bisognosa e non è piena da questa parte e dall’altra manchevole. Infatti quel ch’è nel tempo, anche se sembra perfetto ‒ come ad esempio un corpo sufficiente [40] all’anima sembra perfetto ‒ abbisogna eccome del successivamente, manchevole com’è del tempo di cui abbisogna, giacché con quello (6) sarebbe imperfetto anche se fosse presente ad esso e scorresse con esso; essendo in questa maniera, equivocamente potrebbe esser giudicato perfetto. In quanto invece qualcosa sussiste non abbisognando del successivamente né attraverso dell’altro tempo misurato né attraverso quello infinito e ch’infinitamente [45] sarà, ma ha quello che deve essere, questo è ciò su cui il pensiero intenzionalmente si dirige, ciò il cui essere non emana dal tot ma precede il tot. S’addice infatti ad esso, che non è affatto tot, non entrare in contatto con alcun tot, affinché la sua vita, parcellizzatasi, non tolga la sua pura indivisibilità, ma sia [50] indivisibile sia nella vita sia nell’essenza. Riferisce dunque l’espressione «era buono» (7) al concetto del tutto (8) attribuendo al tutto di là il non iniziare da tempo alcuno, cosicché neppure il cosmo ha avuto alcun principio temporale, giacché la causa del suo essere gli procura il prima. Peraltro, pur avendo detto questo per chiarimento, [55] rimprovera poi questa denominazione (9) come non detta del tutto correttamente degli oggetti possedenti l’eternità su cui si ragiona e che si pensa (10).

 

Note

(1) Cfr. Platone, Timeo, 37 d 6.

(2) Essenza: essere.

(3) Sottinteso “dell’essere”.

(4) Essenza: essere.

(5) Cfr. Patone, Timeo, 35 a 2-3.

(6) Quello: il tempo.

(7) Cfr. Platone, Timeo, 29 e 1.

(8) Tutto: universo.

(9) «Era».

(10) Cfr. Platone, Timeo, 37 e 4-38 a 2.

 

La traduzione dal greco si basa sull’editio minor Henry-Schwyzer: Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Oxford 1064-82 (1964, pp. 337-361).

 

Brano seguente: Plotino, Enneade III 7(45: Su eternità e tempo), 7

 

 


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