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[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (11)

[Incipit] Il motivo dell’origine: questioni di metodo (11)

Gen 07

 

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11. Genealogia ed ermeneutica per non perdersi

Il motivo dell’origine può essere colto attraverso il metodo genealogico e il metodo ermeneutico. In che cosa consistono queste modalità di comprensione e la loro differenza complementare?

Immaginiamo di svegliarci senza una particolare ragione in una nuova città, magari una metropoli tanto antica quanto articolata e complessa, e di avere quindi l’esigenza di conoscere qualcosa di più delle sue vie, della sua urbanistica, della sua storia, ma soprattutto di capire come mai ci troviamo lì. Svegliandoci catapultati tra le sue strade senza preavviso, in una condizione di “gettatezza” (Geworfenheit), non abbiamo idea né di dove ci si trovi, né di dove andare, e menchemeno abbiamo idea del venire-ad-essere di tale centro e del nostro essere proprio in quel luogo. Qual è il suo nome? Dove si trova? Dove mi trovo io rispetto ad esso? Perdersi è molto facile, perché ci siamo già in mezzo, “dentro”, quasi travolti dal traffico che l’attraversa, eppure non ci spieghiamo ancora il nostro essere lì, né conosciamo il motivo dell’origine di tutto ciò che ci circonda e accade.

È evidente che si debbano quindi trovare le modalità di accesso più consone all’esplorazione, tali da non farci perdere, da farci anzi capire dove ci si trova e, possibilmente, tali da dare un significato al nostro essere lì e non altrove.

Ora, immaginiamo che questa città tanto antica e complessa sia il linguaggio, – il linguaggio inteso in modo molto ampio come prima si diceva, ovvero come ogni campo di significanza che anche inconsapevolmente ci attraversa. Noi, per dirla con Heidegger, volenti o nolenti, «in-abitiamo» il linguaggio. Fin dal primo momento in cui nasciamo in una comunità umana (dalla nostra origine biologica) [24] siamo proiettati entro un territorio di significati che suscita la nostra «meraviglia interrogante» [25]. Quella città confusa in cui ci trovavamo in fondo ci è familiare, perché da sempre si avvicendano in noi moti alternati di incomprensione e comprensione.

Ciò che consentirebbe il capire, soprattutto nell’atto primo del ragionamento filosofico, sono genealogia ed ermeneutica, cioè l’osservazione di uno sviluppo (genesi) e il riscontro di una comprensione (interpretazione) degli aspetti più fondamentali.

Della città dei significati, quindi, la genealogia ci consente di raccontare l’origine dinamica, mentre l’ermeneutica ne traccia il perimetro e ci indica quindi il suo senso. Dalla storia delle sue fondazioni si arriva alla derivazione del tracciato attuale e quindi alla delineazione di un percorso significativo al suo interno. L'”interno” del territorio si scoprirà essere conforme all'”interno” del soggetto che va percorrendolo, e quindi l’origine di quel luogo potrà dire qualcosa anche dell’origine dell’uomo che lo attraversa.

Se il tema dell’origine poteva sembrare un discorso autonomo e un tema a sé stante, queste due procedure invece lo ricollocano nella rete di significati che lo costituiscono. La genealogia, quella di Nietzsche e Foucault, dice il definirsi di tale discorso, il suo configurarsi in un gioco di rimandi e di rapporti col mondo; e lo fa in senso critico e “smascherante” [26], lasciando così emergere il nascere del suo oggetto nel contrasto con il suo sfondo inconscio. L’ermeneutica dal canto suo, quella di Dilthey e Heidegger, apre un itinerario, consente un percorso, istituisce un accesso.

 

Note:

[24] «La nostra esperienza del mondo della vita, dalle acquisizioni espressive del lattante sino alle forme più differenziate dell’alta cultura, ha un carattere più specificatamente “comprendente” e, perciò, costituisce a pieno diritto un accesso alla realtà. Entrambe le domande “che cos’è questo?” e “che cosa significa questo per me (per il mio gruppo sociale, per la società in cui io vivo, per la comunità umana)?” costituiscono qui, un’unità e la “cultura” si rivela essere, secondo l’ermeneutica filosofica, semplicemente il nome che viene dato alle molteplici e disparate forme espressive storiche, sociali e individuali di questo fenomeno» e del fenomeno dell’inizio in particolare (M. Jung, Hermeneutik zur Einfürung, Junius, Hamburg 2001; trad. it. L’ermeneutica, il Mulino, Bologna, 2002, pp. 68-69).

[25] Per la nozione di «meraviglia interrogante», in relazione al portato platonico-aristotelico, cfr. L.M. Napolitano Valditara, «Meraviglia, perplessità, aporia. Cognizione ed emozioni alle radici della ricerca fiosofica», in Thaumàzein 2, 2014, pp. 127-178. http:// www.thaumazein.it/ 2015/alle-radici-della-ricerca-filosofica/

[26] «Proprio Nietzsche, al quale, com’è noto, dobbiamo l’irruzione esplicita della genealogia nella filosofia nella sua funzione smascherante, ha una volta per tutte chiarito che l’avvicinarsi all’origine non significa mostrarne il valore, ma anzi dissolverlo, rivelare anzi come ogni presunto valore pensato come principiante sia a sua volta un principiato (Cfr. Aurora, § 44: “Con la visione nell’origine aumenta la mancanza di significato dell’origine”)». G. Pezzano, Uomo, apertura e comunità…, cit., p. 45.

 
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