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Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (5)

Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (5)

Ott 13

 
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Il viaggio in Tibet (2)

Il 1° ottobre 1716, però, arrivarono a Lhasa tre cappuccini: Domenico da Fano (1674-1728), Francesco Orazio della Penna (1680-1745) e Giovanni Francesco da Fossombrone (1677-1724). Il gesuita pistoiese li introdusse a corte e li aiutò nello studio della lingua. Il rapporto, nonostante le prime apparenti formalità, fu difficile, quando non conflittuale. I cappuccini non potevano permettere che nel territorio a loro affidato ci fosse un altro missionario, oltretutto molto diverso da loro per superiorità di cultura, capacità e metodo.

Ai missionari cappuccini venivano richieste infatti non tanto conoscenze teologiche o filosofiche quanto coraggio e buon carattere, uniti ad abilità tecniche nella medicina, nella matematica, nei lavori artigianali e nelle arti come la pittura e la musica. Giunti in Tibet come stranieri mendicanti che riuscivano a malapena ad esprimersi nella lingua del posto, vennero tollerati e a volte apprezzati soprattutto per le loro abilità di medici. A differenza dei medici tibetani essi dispensavano le cure a chi ne aveva bisogno senza richiedere compenso. Fu dunque l’arte medica a permettere ai cappuccini un margine di interazione con il popolo tibetano anche se la medicina (fra l’altro praticata con le conoscenze del diciassettesimo secolo) non poteva certo sopperire alle carenze nella preparazione intellettuale dei frati e alla loro mancanza di una preparazione linguistica adeguata.

Benché l’obiettivo di entrambi gli ordini fosse ovviamente identico, cioè convertire i pagani alla fede cristiana, la strategia missionaria dei gesuiti si orientava tradizionalmente verso le classi alte e colte della società, mentre quella dei francescani verso le classi popolari. Può essere una visione semplicistica ma traduce, per quanto riguarda la missione in Tibet, una divergenza di strategia missionaria che sta alla base dell’attrito fra i due ordini. A questo si aggiungeva l’atteggiamento di apertura e tolleranza tipico di molti gesuiti verso le tradizioni e le culture locali, a differenza della condotta cappuccina caratterizzata da una condotta nettamente più aggressiva e dogmatica. In India, Cina e Giappone i missionari della Compagnia con Matteo Ricci e Roberto de Nobili, avevano spesso cercato un compromesso con le culture locali tollerando le pratiche rituali pagane ed assumendo un mimetismo missionario che li agevolava. Ed è proprio su questo punto che si articolerà il conflitto fra cappuccini e gesuiti.

Nonostante queste difficoltà, Desideri concluse la traduzione in tibetano del suo scritto che prese il titolo L’aurora indica il sorgere del sole che dissipa le ultime tenebre, che fu poi presentato al re il 6 gennaio 1717:

Dopo aver attentamente ascoltato per qualche tempo, ripreso il libro mi disse che in quello trovava diversi assiomi opposti a quelli della loro setta, ma che non lasciavano di rappresentarglisi come molto giusti e degni d’una seria e matura discussione. Due cose però aver incontrate che gli causavano maggior difficoltà; cioè l’aver veduto che noi ammettevamo un ente supremo, di sua natura semplice, increato e incorporeo; e che noi escludevamo affatto la mettempsicosi o trasmigrazion d’anime. [43]

La presentazione fu dunque apprezzata dal re il quale, tuttavia, vista la grande differenza con le loro credenze, chiese ancora un confronto teologico pubblico tra il gesuita e i lama tibetani, lasciando però a Desideri tutto il tempo e i sostegni necessari per potere approfondire ulteriormente la lingua e la cultura locali. Desideri, quindi, insieme al cappuccino Orazio della Penna [44], iniziò il 25 marzo 1717 lo studio nel monastero di Ramoche, per passare nell’agosto successivo a Sera, sede di una prestigiosa università monastica che contava migliaia di monaci.

Il gesuita approfondì i testi canonici del Buddhismo tibetano compresi nel Kanjur (Traduzione del messaggio del Buddha, cioè la raccolta degli insegnamenti diretti, in ben 108 volumi) e nel Tanjur (Traduzione della dottrina del Buddha, cioè i commentari indiani agli insegnamenti, in 224 volumi) e commentati dall’opera del riformatore Tsong Khapa (1357-1419), soprattutto dal Lam rim chen mo (Grande esposizione dei livelli del sentiero o Via graduale all’illuminazione). Come avrebbe in seguito commentato Enzo Gualtiero Bargiacchi, senz’altro il maggiore studioso della vita e dell’opera del missionario pistoiese,

Desideri osservò attentamente e descrisse mirabilmente la logica del buddhismo tibetano, la teoria e la pratica argomentativa, e la formazione degli allievi, ponendosi quindi con intensa e calorosa applicazione quotidiana, a divorare i libri canonici, confrontarne i passi principali, annotandoli, oltre a discutere frequentemente gli stessi argomenti con i monaci tibetani. [45]

I tibetani gli apparivano un popolo di indole buona e virtuosa portato però sulla cattiva strada dal demonio e dai falsi maestri da lui ispirati. Desideri era chiamato dunque a salvare questo popolo dall’inferno mostrando l’unica via possibile di salvezza, ossia la fede nell’unico dio. Proseguendo instancabilmente la sua opera, nel monastero di Sera, iniziò la stesura di un nuovo libro, L’origine delle cose (Byun̐ kʾun̐s).

Il 3 dicembre 1717, però, il re dei mongoli Zungari Tsewang Arabtan, alla guida di un piccolo esercito, sconfisse e uccise il re Lajang Khan (che era mongolo Qoshot), e saccheggiò Lhasa. I cinesi, che consideravano ormai da tempo un loro protettorato quei territori, il 24 settembre 1720 fecero ritorno a Lhasa e sbaragliarono agevolmente le truppe mongole. Desideri, dopo l’invasione mongola, si rifugiò nella missione di Takpo-khier, un ospizio predisposto dai cappuccini per la coltivazione dell’uva necessaria per il vino da messa. Qui Desideri proseguì i suoi studi: concluse nel 1718 la traduzione del suo L’origine delle cose ed iniziò la scrittura del libro Domanda intorno alla teoria del vuoto e delle vite passate, al quale lavorerà ancora fino a tutto il 1719.

Compì inoltre numerosi viaggi nel Tibet sud-orientale, nel bacino dello Tsangpo e del Subansiri; visitò le regioni di Kongpo, Nang e Loro e si avvicinò all’attuale confine con l’India dove, nel versante meridionale himalayano, vivevano popolazioni aborigene chiamati Lopa dai tibetani. A Takpo-khier Desideri rimase fino all’aprile del 1721, tornando raramente a Lhasa.

Risulta paradossale, ma certamente utile a fotografare i contenziosi in seno alle varie missioni cristiane, il fatto che i problemi maggiori Desideri non li incontrò nella situazione politica o nell’ostilità locale, ma dall’atteggiamento dei cappuccini i quali mal sopportavano il suo stile missionario. Di questa congregazione solo Orazio della Penna si era dedicato allo studio della lingua, mentre gli altri non riuscivano a comprendere ed apprezzare la cultura tibetana.

Già il 12 dicembre 1718 la Congregazione Propaganda Fide, dietro le rimostranze dei cappuccini, aveva invitato i Gesuiti a lasciare il Tibet. Desideri difese in ogni modo la sua missione, conquistata dopo le convinte insistenze presso il papato e costata mesi e mesi di spossante viaggio, e resistette fino al 10 gennaio 1721 quando i cappuccini nell’ospizio di Takpo gli consegnarono una lettera del Generale che gli comandava di lasciare perentoriamente il Tibet. A metà aprile del 1721 Desideri rientrò a Lhasa e il 28 aprile partì definitivamente.
Il 30 maggio era a Kuti, ultima località tibetana prima del Nepal. Qui si fermò parecchio tempo perché stanco ma anche per tentare un’ultima possibilità di difendere la sua missione in Tibet con lettere, appelli e memoriali presso i suoi superiori. A Kuti, avendo ancora a disposizione importanti libri tibetani, riuscì ad aggiungere alcuni capitoli al suo Libro confutativo dell’error della metempsycosi.

Si spostò in India a Patna, e da Varanasi risalì il Gange passando per Allāhābād ed Agra fino a Delhi. Approfondì il persiano e l’urdu, inaugurò una scuola ed una nuova chiesa. Si spostò successivamente a Pondicherry, nella costa est: lì imparò il Tamil e si imbarco poi per l’Italia. Il viaggio di ritorno non fu più agevole di quello d’andata. Passò per Mauritius e Reunion; circumnavigando Capo di Buona Speranza salì fino a Sant’Elena ma, a causa di alcuni danni subiti dalla nave, dovette ripiegare sull’isola di Martinica. Lì, presso la missione dei confratelli della Compagnia si rifocillò: ripartì dai Caraibi ed attraccò in Bretagna. Poi, via terra, raggiunse Roma passando per la sua città natale, Pistoia.

Rientrato dopo quindici anni e quattro mesi, emblematicamente, Desideri trovò la Compagnia impegnata nella cosiddetta disputa sui riti e capì subito che sarebbe per lui stato difficile difendersi dalle gravi accuse che i cappuccini gli avevano rivolto per essere andato, secondo loro, contro i princìpi cristiani ed aver agito autonomamente. I cappuccini, invece, poterono rimanere a Lhasa, ma privi di risorse e di adeguati rinforzi ritenendo che le loro difficoltà dipendessero dalla controversia non risolta con Desideri e dalle trame dei Gesuiti. Chiesero insistentemente che la controversia fosse risolta.
Padre Felice da Montecchio scrisse a questo scopo dodici memorie e tre sommari di documenti che furono consegnati a Propaganda Fide.

Desideri, dal canto suo, scrisse allora tre memorie che chiamò Difese. La situazione si complicò per il fatto che risultò evidente che il Generale Tamburini fosse a conoscenza dell’affidamento delle missioni del Tibet ai cappuccini ed anche per la denuncia che Felice da Montecchio fece dell’intenzione del Desideri di pubblicare la sua Relazione senza che Propaganda ne fosse ancora a conoscenza. Desideri, a questo punto, rinunciò a difendersi, scrivendo che trovava inopportuno «che due Missionari, venuti dall’estremità del Mondo, debbano qui in Roma perdere il tempo in accusarsi, e in difendersi, in attaccarsi, e in ischermirsi» [46]. Ma, date le complicazioni sopraggiunte, anche la Curia generalizia della Compagnia di Gesù volle chiudere la questione. Inoltre, il 29 novembre 1732 Propaganda Fide nella Congregazione particolare sulle questioni della Missione dei regni del Thibet confermò la decisione che le missioni del Tibet fossero affidate esclusivamente ai cappuccini.

Dopo le lunghe controversie, Ippolito Desideri sarebbe morto di lì a poco, il 13 aprile 1733 nella Casa Professa di Roma venendo sepolto e dimenticato a lungo nella sepoltura dei Padri della Chiesa del Gesù.
 

Note

[43] MITN 1952-56, V, p. 195.

[44] Francesco Orario della Penna (al secolo Luzio Olivieri, 1680-1745) fu l’unico dei tre cappuccini in linea con il modus missionario di Ippolito Desideri. Nacque a Pennabilli nel Montefeltro, da nobile famiglia. Insieme a Desideri studiò la lingua tibetana nel monastero di Sera. Il frutto dei suoi studi fu un’ampia relazione sulla storia, la geografia e le istituzioni del Tibet ed un dizionario tibetano – italiano di circa 35.000 vocaboli, ultimato prima del 1732. La prima parte di questo manoscritto, riscoperto di recente e ancora inedito, formò la base del Tibetan – English Dictionary pubblicato da Schroeter nel 1826 nella missione battista di Serampore in India.

[45] BARGIACCHI 2008, p. 3.

[46] MITN 1952-56, V, pp. 100-101.
 

Bibliografia

BARGIACCHI 2009
Bargiacchi E. G., L’esperienza tibetana di padre Ippolito Desideri, in N. Gasbarro (a cura di), Le culture dei missionari, Bulzoni Editore, Roma 2009, pp. 101-118.

MITN 1952-56
L. Petech (a cura di), I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Libreria dello Stato, Roma (vol. II de «Il Nuovo Ramusio» suddiviso in 7 tomi. Raccolta di viaggi, testi e documenti relativi ai rapporti tra l’Europa e l’Oriente, a cura dell’IsMEO).
 
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