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Testimonianze filosofiche su Anassagora (10)

Testimonianze filosofiche su Anassagora (10)

Set 30

 

 

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Diels-Kranz 59 A 61, Lanza A 61

Aristot. Metaph. 1069b 19: Dall’essere si generano tutte le cose: dall’essere, orbene, in potenza e dal loro non essere, invece, in atto [ex ontos gignetai panta, dunamei mentoi ontos, ek mē ontos de energeia(i)]. E questo [touto] è l’uno d’Anassagora: meglio [beltion], ecco, di «insieme tutte le cose» (e del miscuglio [to meigma] di Empedocle e di Anassimandro e di ciò che Democrito afferma) «erano insieme tutte le cose in potenza, in atto invece no [ēn homou panta dunamei, energeia(i) d’ ou]», sicché avrebbero attinto il concetto di materia [tēs hulēs an eien hēmmenoi].

Ibid. 989a 30: Dunque, se qualcuno assumesse [hupolaboi] che Anassagara abbia detto due gli elementi, lo assumerebbe molto bene conforme a un argomento che egli stesso non ha articolato; avrebbe comunque seguito di necessità coloro che lo avessero inferito per lui [duo legein stoikheia, malist’ an hupolaboi kata logon, hon ekeinos autos men ou diērthrōsen, ēkolouthēsen ment’ an ex anankēs tois epagousin auton]. Pur essendo infatti assurdo, tra l’altro, affermare che eran mescolate al principio tutte le cose, sia perché, se ne conviene, avrebbero dovuto preesistere non-miste, sia perché questa cosa presa a caso per sua natura non si mischia con quest’altra presa a caso, oltre a questi assurdi, or dunque, vi sarebbe il fatto che le affezioni e gli accidenti sarebbero separati dalle essenze (infatti delle stesse cose di cui c’è mistione c’è anche separazione), comunque, se qualcuno lo seguisse, articolando le inferenze che vuole argomentare, forse allora parrebbe argomentare più modernamente [atopou gar ontos kai allōs tou phaskein memikhtai tēn arkhēn panta, kai dia to sumbainein amikta dein proüparkhein kai dia to mē pephukenai tō(i) tukhonti mignusthai to tukhon, pros de toutois hoti ta pathē kai ta sumbebēkota khōrizoit’ an tōn ousiōn (tōn gar autōn mixis esti kai khōrismos), homōs ei tis akolouthēseie sundiarthrōn ha bouletai legein, isōs an phaneiē kainoprepesterōs legōn]. Quando infatti nulla era secreto, è chiaro che nulla v’era da dire di vero di quell’essenza [hote gar outhen ēn apokekrimenon, dēlon hōs outhen ēn alēthes eipein kata tēs ousias ekeinēs], dico, per esempio, che non era né bianca né nera o grigia o d’altro colore, ma, di necessità, incolore: avrebbe avuto infatti qualcosa di questi colori; similmente era dunque insapore, per questo stesso argomento, né aveva alcun’altra delle proprietà consimili [tō(i) autō(i) logō(i) toutō(i), oude allo tōn homoiōn outhen]: infatti esso non poteva essere né un quale né un quanto né qualcosa [oute gar poion ti hoion te auto einai oute poson oute ti]. Infatti qualcuna delle dette forme in parte sarebbe sussistita in esso, questo tuttavia era impossibile, essendo mescolate, ecco, tutte le cose [tōn gar en merei ti legomenōn eidōn huparkhen an autō(i), touto de adunaton memigmenōn ge pantōn]: di già, infatti, si sarebbero secrete [ēde gar an apekekrito], afferma invece che erano mescolate tutte le cose tranne l’intelletto, che questo solo dunque era non-misto e puro [plēn tou nou, touton de amigē monon kai katharon]. Da queste assunzioni dunque conviene inferire che per lui i principi son l’Uno (questo infatti è semplice e non-misto) e l’Altro, quale poniamo l’indefinito prima che sia definito e partecipi di una qualche forma, cosicché, benché non argomenti né rettamente nè chiaramente, vuole comunque argomentare qualcosa di vicino agli argomenti posteriori e a quelli che adesso appaiono molto più chiari [ek de toutōn sumbainei legein autō(i) tas arkhas to te hen (touto gar haploun kai amiges), kai thateron, hoion tithemen to aoriston prin horisthēnai kai metaskhein eidous tinos, hōste legei men ouk orthōs oute saphōs, bouletai mentoi ti paraplēsion tois te husteron legousi kai tois nun phainomenois mallon].

Ibid. 1007b 25: E si genera dunque l’«insieme tutte le cose» di Anassagora, cosicché nulla esisterà veramente [mēden alēthōs huparkhein]. Sembrano quindi dire l’indefinito, e credendo di dire l’essente parlano del non-essente [to aoriston oun eokasi legein, kai oiomenoi to on legein peri tou mē ontos legousi]: quello, infatti, che è in potenza e non è in atto è l’indefinito [to gar dunamei on kai mē entelekheia(i) on aoriston estin].

Ibid. 1012a 26: L’argomento di Anassagora, invece, dicendo che v’è un intermedio tra i termini della contraddizione [einai ti metaxu tēs antiphaseōs], sembra rendere false tutte le cose [panta pseudē]: allorquando infatti son mischiate, il miscuglio non è né buono né non-buono, cosicché non si dice nulla di vero [hotan gar mikhthē(i), oute agathon oute ouk agathon to migma, hōst’ ouden eipein alēthes].

Ibid. 1063b 19: Similmente non è possibile predicare alcuno degl’intemedi di un’unica e medesima cosa: essendo infatti il soggetto bianco, dicendo che esso non è né nero né bianco diremo il falso: consegue infatti che esso è bianco e non-bianco; di esso infatti sarà verificato l’altro dei due connessi, ossia il contraddittorio del bianco. Dunque non si può dire il vero [endekhetai legontas alētheuein] né parlando come Eraclito né come Anassagora [kat’ Anaxagoran], sennò ne conseguirà il predicare i contrari del medesimo soggetto [sumbēsetai tanantia tou autou katēgorein]: quando infatti si afferma che in tutto v’è parte di tutto non si afferma che qualcosa è più dolce che amaro o qualsiasi altro dei contrari, se tutto esiste in tutto quanto non solo in potenza ma anche in atto e secreto [hotan ge en panti phē(i) pantos einai moiran, ouden mallon einai phēsi gluku ē pikron ē tōn loipōn hopoianoun enantiōseōn, eiper en hapanti pan huparkhei mē dunamei monon all’ energeia(i) kai apokekrimenon].

Ibid. 991a 14: Forse [le idee] potrebbero sembrare essere cause come il bianco mescolato per il bianco, ma questo argomento [logos], che svolgevano [elegon] Anassagora per primo, Eudosso poi e alcuni altri, accelera troppo.

 

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