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Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (4)

Il viaggio in Tibet di Ippolito Desideri (4)

Set 15

 
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Il viaggio in Tibet (1)

Ippolito Desideri nacque a Pistoia il 20 dicembre 1684 da Iacopo Desideri e Maria Maddalena Cappellini e fu battezzato il giorno successivo. A due anni rimase orfano della madre, che morì ventottenne dando alla luce il quinto figlio. Il giovane Ippolito studiò nel Collegio dei Gesuiti di Pistoia e il 27 aprile 1700 entrò nella Compagnia di Gesù nella casa di Sant’Andrea al Quirinale a Roma, iniziando il noviziato.
Emise la professione religiosa il 28 aprile 1702, dopodiché fu trasferito al Collegio Romano. Dal 1706 al 1710 insegnò umanità nei Collegi della Compagnia di Orvieto e di Arezzo. Ritornato nel 1710 al Collegio Romano, cominciò gli studi di teologia, in cui dimostrò un indubbio talento per la logica e la filosofia.

Il desiderio di partire per le missioni, maturato dalla frequentazione degli Esercizi di Ignazio e per la testimonianza dei gesuiti missionari dei quali si conosceva la storia (Francesco Saverio, Roberto De Nobili, Alessandro Valignano e Matteo Ricci, tra gli altri), si incontrò con la necessità da parte della Compagnia di riaprire una missione in Tibet dopo che i Cappuccini avevano lasciato quel territorio nel 1711. I Gesuiti avevano già fatto vari tentativi nel passato, a partire da quello di Antonio de Andrade [27], di stabilire una sede in Tibet, ma la Congregazione di Propaganda Fide aveva affidato nel 1703 quel territorio ai Cappuccini. Nella Compagnia di Gesù era prescritto che per potersi dedicare alle missioni era necessario chiedere ed ottenere il permesso del padre generale con una epistula indipetarum, entrando a far parte degli Indipetae. Cosicché il 14 agosto 1712 Ippolito fece domanda al Generale della Compagnia Michelangelo Tamburini di partire per le missioni:

Quant’è dal canto mio son tanto persuaso che dio questa volta mi voglia all’Indie, che sono risolutissimo di non partire da’ suoi piedi se prima V.P. [28] non mi esaudisce, o se non mi fa un precetto che me ne parta. (…) In favor di quest’anima egli medesimo per mezzo mio ed io in suo nome le chiedo un solo Si, un andate all’Indie. [29]

La sua domanda fu accolta il giorno dopo e, senza che completasse l’ultimo anno di studi, fu ordinato suddiacono il 21 agosto, diacono il 25 agosto ed infine sacerdote il 28 agosto. Dopo essere stato ricevuto da Papa Clemente XI, il 27 settembre partì insieme a padre Ildebrando Grassi da Roma. Dopo essersi fermati a Firenze e a Pistoia, i due proseguirono fino a Livorno dove si imbarcarono per Genova, arrivandovi il 31 ottobre. Da Genova salparono il 23 novembre arrivando a Lisbona a metà marzo 1713. Qui incontrarono i sovrani del Portogallo. Il lungo ed estenuante viaggio marittimo da Lisbona a Goa durò dall’8 aprile 1713 al 20 settembre 1713.

Durante il viaggio Desideri ebbe il tempo di imparare il portoghese e proprio a Goa sostenne l’esame del terzo anno di teologia che lo introdusse alla professione solenne. Prima di approdare in India, Desideri circumnavigò l’Africa e fece sosta nell’attuale Ilha de Moçambique. Qui iniziano le memorie. Egli scrive dei commerci dell’avamposto portoghese:

una gran quantità di grossissimi e lunghi denti d’elefante, d’oro, d’argento e d’ambra nera e una gran moltitudine di Cafri, o vogliam dire di neri comprati per ischiavi e che si mandano a Goa per rivenderli più cari; e quivi viddi con mio rammarico farsi traffico della vita e libertà degl’uomini. Non permettono però che tali schiavi si lascin partire da Mossambiche e imbarcar nelle navi sanz’averli fatti prima battezzare; e per ogni battesimo di deve dar al Paroco un Crusado, ch’è una moneta d’argento di Portogallo… e con esso deve darsi una candela. È una compassione il veder la gran facilità con cui, purché si dia la detta tassa, si battezzano tali Cafri, ancorché non abbiano alcune istruzione e non intendan la lingua. [30]

Il modo di esprimersi del giovane Desideri è schietto, il carattere è sensibile e generoso. Non manca di evidenziare le atrocità viste in Mozambico. «Vede, osserva, scandaglia. Condanna ma non inveisce. Rifiuta ma non disprezza. La sua larghezza di mente ed obiettività sono semplicemente ammirabili.» Sono ancora le parole di Tucci a darci la dimensione della profondità con cui Desideri affronterà il Tibet. Riuscirà «a veder chiaro dove altri non trovano che tenebra» [31].

Giunto in India dai suoi confratelli gesuiti, il 13 novembre il Provinciale Antonio de Azevedo gli comunicò la nuova partenza per il Tibet. Desideri partì da Goa tre giorni dopo ed iniziò una lunga marcia che lo condusse nel cuore del regno Moghul, passando per l’attuale Mumbai e per le città di Surat, Udaipur, Ajmer, Jaipur ed infine Delhi dove giunse l’11 maggio 1714. Durante questo viaggio e grazie alla padronanza della lingua portoghese che aveva acquisito nel viaggio dall’Europa a Goa, Desideri si dedicò alla cura spirituale dei marinai e di coloro che viaggiavano con lui, e spostatosi all’ombra del Taj Mahal iniziò a imparare anche il persiano, che era la lingua franca dell’Oriente, studiando i testi teologici di Gerolamo Saverio.

Il 15 agosto 1714 ottenne finalmente l’invito ufficiale per la missione in Tibet. Gli si affiancò, come superiore della missione, Manoel Freyre, molto più anziano di lui. I due gesuiti si posero in viaggio il 24 settembre 1714; attraversarono la pianura del Punjab raggiungendo Lahore, nell’attuale Pakistan, il 9 ottobre; ripreso il cammino verso nord e attraversati il fiume Ravi e il fiume Chenab, sostarono a Gujrat da dove, il 28 ottobre, presero la strada dei monti arrivando nella splendida valle di Srinagar, la capitale del Kashmir posta a 1893 metri di altitudine. Qui svernarono e Desideri continuò l’intenso studio della lingua persiana.

Per arrivarci attraversarono la catena montuosa del Pir Panjal dove Desideri iniziò la lunga serie di patimenti fisici che lo perseguiteranno fino al Tibet:

Non mi fu d’alcuna pena lo scorrere tutti que’ monti a piedi, ma il passar così sovente un gran numero degli accennati torrenti (…) di modo che taluno bisognò che lo passassi ben afferrato alla coda d’un bue, ma oltre di ciò mi causò una tal dissenteria accompagnata da flusso di sangue che mi continuò per lo spazio di nove mesi interi. [32]

Ma a compensare i dolori c’è la soddisfazione e la meraviglia, benzina dell’avventuriero:

Non ostante che sì alte e sì scoscese siano le montagne, nulladimeno sono nel medesimo tempo amene, per essere messe a frutto e d’ogni banda ricoperte di gran diversità di alberi e piante. [33]

Il 17 maggio 1715 ripresero il viaggio e il 30 maggio iniziarono la salita per arrivare al passo di Zoji-la, a 3500 metri d’altitudine dove «finisce affatto la fertilità e l’amenità della terra» [34].

Superato il passo, lasciarono il Moghul ed entrarono in Ladakh, che era un regno semi-indipendente, per raggiungerne la capitale, Leh, il 25 giugno. Qui si fermarono cinquantadue giorni. Furono ben accolti dal re Nyima Namgyal; i due gesuiti si trovavano già in pieno ambiente tibetano, non solo per la tipica architettura, per la lingua o per i tratti fisici della popolazione, ma soprattutto per la cultura e per la religione, che iniziarono lentamente ad indagare. Desideri fu subito affascinato dalla sorprendente libertà accordata a tutte le fedi, dalle caratteristiche della religione localmente praticata e da alcune somiglianze che iniziò a intravvedere rispetto al cristianesimo.

Egli avrebbe voluto fermarsi a Leh per fondarvi la missione, ma assieme a Freyre decise di partire per Lahsa «essendo colà il capo e fondamento di quella falsa setta (…) quello era il Thibet a cui eravamo all’ubbidienza più precisamente destinati» [35]. Partirono da Leh il 17 agosto 1715 e raggiunsero Tashingang il 7 settembre. Grazie al sostegno di una guarnigione militare che accompagnava una principessa tartara, riuscirono ad arrivare alla metà di febbraio 1716 a Sakya, capoluogo di un grande principato ereditario governato da un Lama dotato di larga autonomia rispetto al potere centrale. Il 29 febbraio ripartirono lasciando definitivamente la principessa mongola e la sua guarnigione.

Da Leh a Sakya trascorsero i momenti più travagliati della loro spedizione. Dobbiamo considerare che durante il periodo invernale, a tutt’oggi, i passi e le connessioni carrozzabili fra la Valle dell’Indo ed il Tibet sono chiusi per la grande quantità di neve presente e le temperature proibitive. L’unico estremo modo di transitarvi è a piedi o a cavallo:

Bevevamo il the conciato col butirro (…). Il letto era una pelle stesa a terra e il capezzale la sella del cavallo. La notte era più tosto il cessamento del travaglio che un prender riposo, non dando a ciò molto luogo né l’asprezza del gran freddo né la molestia più ch’ogni altra cosa intollerabile delle schifezze cagionate dalla qualità del vestire. [36]

Attorno al Kailāś, dove fece le scoperte fluviali, notò una spelonca che interpretò come tempio «a cui è annesso un rozzo e aspro convento in cui dimora un Lamà con alcuni pochi religiosi di quella setta» [37]. Lungo il percorso, in particolare a Sakya dove mise piede come primo esploratore europeo, Desideri annotava ogni somiglianza con il cristianesimo e per via analogica cercava di interpretare. Vide un «altro molt’ampio tempio di donne alla lor maniera religiose. Oltre il tempio d’idoli di straordinaria grandezza e sontuosità, che di quando in quando è uffiziato alla loro moda superstiziosa» [38]. Nel frattempo, Desideri aveva iniziato a studiare la lingua tibetana grazie anche ai colloqui che aveva avuto con la principessa tartara, curiosa di saperne di più sull’Europa.

Finalmente il 18 marzo 1716 i due gesuiti raggiunsero Lhasa, capitale del Tibet e meta finale del loro viaggio. Entrati ne “la terra degli dei”, Manoel Freyre, considerando a quel punto compiuta la sua missione di accompagnare e indirizzare Desideri, ripartì dopo appena un mese per fare ritorno verso l’India.

Il pistoiese iniziò a descrivere il Barkhor, ovvero il grande mercato, oggi devastato come gran parte dei suoi quartieri dagli edifici moderni costruiti dopo l’occupazione cinese:

Vi è il mercato d’ogni cosa che possa bisognare, specialmente dalle tre ore dopo mezzo giorno sin a notte, nel qual tempo vi è tal folla di gente che molto difficile riesce passarvi. [39]

Scrive poi del Jokhang, il luogo più sacro di tutto il Tibet, all’interno del quale è custodita una statua del Buddha all’età di otto anni. Folle di pellegrini giungono ancora oggi da ogni parte del Tibet compiendo il tradizionale rito di circumambulazione, lo skor ba:

e in questo giro stimano di guadagnare come molte e singolari indulgenze. Anzi, per maggior devozione vanno alcuni facendo questo giro stendendosi lunghi a terra, e fatto un segno dove arriva la testa, s’alzano e di nuovo si ristendono in modo che restino i piedi dove prima era il capo; e così successivamente sia alla fine. [40]

Fra le descrizioni della città di Lahsa Desideri non manca di citare il Potala, l’edificio simbolo risparmiato dalla devastazione cinese diventato uno degli ultimi simboli del buddhismo tibetano. Costruito nel 1645 dal quinto Dalai Lama che promosse una riorganizzazione amministrativa, politica e religiosa, al suo interno si sono succeduti i Dalai Lama fino al 1950 quando l’attuale Lama Tenzin Gyatso, che allora aveva quindici anni, fu costretto a cambiare costantemente residenza a causa della persecuzione cinese stabilendosi soltanto nel 1959 in India nei pressi di Dharamsala, precisamente a McLeod Ganj, suo attuale domicilio.

Desideri, rimasto solo dopo la partenza di Freyre, fu immediatamente convocato e interrogato dal generale militare del regno circa le sue intenzioni. Il gesuita non nascose i suoi intenti missionari e il suo desiderio di restare in Tibet fino alla fine dei suoi giorni. Era ben cosciente del fatto che per impiantare una missione occorreva innanzitutto avere il sostegno del sovrano e il 28 aprile fu ricevuto in udienza dal primo ministro mentre il 1° maggio dal re in persona Lajang Khan il quale, ben impressionato, gli promise protezione, sostegno e libertà di azione rispetto alle questioni strettamente spirituali.

Questi, avendomi con molta urbanità o obbliganti maniere accolto, per parte del re mi domandò d’onde fossi venuto e di che condizion o professione io fossi. (…). Esser io cristiano e religioso ed esser Lamà, cioè sacerdote, in obbligo e in uffizio di guidar altri per il diritto sentier della salute; e attualmente in esercizio di procurar con tutte le mie forze di ritirar quelli che fossero in errore da’ loro traviamenti e di condurli alla nostra S. legge, come a unicamente vera e legittima strada, fuor di cui non v’era altra per arrivar al cielo e al conseguimento dell’eterna felicità. [41]

I tibetani non lo processarono né lo arsero vivo, tutt’altro. Si dimostrarono al contrario aperti al dialogo ed interessati a capirne di più. Chiesero di illustrare la sua religione e la differenza con la loro ma Desideri non si sentì pronto a padroneggiare la lingua e propose di preparare un testo scritto. Si dedicò a quest’impegno con tutte le sue risorse intellettuali e con l’entusiasmo di chi sente di essere sulla strada giusta.

Con larghe e magnifiche espressioni m’accordò egli pubblicamente la dimandata licenza; e rivoltosi in giro a tutto il consesso, si degnò di farmi elogio, come d’uomo che mostrava d’aver fatto studio nelle scienze, che nel parlar abbia enfasi e persuasiva, schietto, impegnato per la verità, risoluto e intrepido per sostenerla. [42]

Desideri continuò a studiare la lingua e scrisse tra giugno e agosto due libri in italiano, iniziando poi la traduzione in tibetano del primo agli inizi di settembre. Fu a questo punto che il gesuita mostrò il suo eccezionale talento di studioso e il suo zelo missionario.
 

Note

[27] Antonio de Andrade (Oleiros 1580 – Goa 1634) può essere giustamente chiamato il primo europeo ad entrare in Tibet. Nato nel 1580, entrò a far parte dei gesuiti a sedici anni e fu inviato a Goa all’età di venti. Nel 1624, accompagnò a Delhi il re mogul Jahangir dove si unì ad una carovana diretta a nord-ovest in un’area quasi completamente sconosciuta dove si pensava che esistessero alcune comunità cristiane. Viaggiò per Srinagar e Garhwal attraverso la valle di Alakhnanda oltre Badrinath ed i 5450 m. del Mana Pass verso Tsbrang nel Tibet dell’ovest. Le sue relazioni riportano la data del 16 Maggio 1624 ed includono quindici facciate fronte retro fitte di memorie. Per maggiori informazioni sulle sue relazioni ed un estratto in lingua inglese tradotto direttamente dall’originale, si veda in R. Kaschewsky The image of Tibet in the west before the nineteenth century all’interno di Imagining Tibet, Perceptions, Projections and Fantasies, Wisdom Publications 2001.

[28] V.P. significa vostra paternità, riferito al padre generale dell’ordine dei gesuiti in carica nel 1712 Michelangelo Tamburini.

[29] DESIDERI 1981-89, vol. II, pp. 271-273 dove è contenuta la versione integrale della epistula indipetae di Ippolito Desideri.

[30] MITN 1952-56, V, pp. 130-131.

[31] TUCCI 1940, pp. 75-84.

[32] MITN 1952-56, V, p. 159.

[33] MITN 1952-56, V, p. 160.

[34] MITN 1952-56, V, p. 163.

[35] MITN 1952-56, V, p. 171.

[36] MITN 1952-56, V, p. 179.

[37] MITN 1952-56, V, pp. 174-175.

[38] MITN 1952-56, V, p. 121.

[39] MITN 1952-56, V, pp. 23-24.

[40] MITN 1952-56, V, pp. 24-25.

[41] MITN 1952-56, V, p. 84.

[42] MITN 1952-56, V, p. 187.
 

Bibliografia

DESIDERI 1981-89
Desideri I., Opere tibetane di Ippolito Desideri S.J. Introduzione, trad. it. e note di G. Toscano S.X., IsMEO, Roma, 1981-1989, Vol. I, Il T’o-raṅs (L’Aurora), 1981; Vol. II, Lo Sñiṅ-po (Essenza della dottrina cristiana), 1982; vol. III, Il Byuṅ k’uṅs (L’origine degli esseri viventi e di tutte le cose), 1984; Vol. IV, Il Ṅes legs (Il sommo bene e fine ultimo), 1989.

KASCHEWSKY 2001
Kaschewsky R., The image of Tibet in the West before the Nineteenth century, in Dodin T., Raether H. (eds), Imagining Tibet, Perceptions, Projections and Fantasies, Wisdom Publications, Boston 2001, pp. 3-20.

MITN 1952-56
L. Petech (a cura di), I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Libreria dello Stato, Roma (vol. II de «Il Nuovo Ramusio» suddiviso in 7 tomi. Raccolta di viaggi, testi e documenti relativi ai rapporti tra l’Europa e l’Oriente, a cura dell’IsMEO).

TUCCI 1940
Tucci G., L’Italia e gli studi tibetani, in «Civiltà», 1, 2, 21 giugno 1940, pp. 75-84.
 
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