Temi e protagonisti della filosofia

Argomentare e non argomentare

Argomentare e non argomentare

Mag 06

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Consideriamo ora la seconda obiezione all’esistenza della filosofia: la filosofia è giunta alla propria fine (la “morte”), quindi – se mai è esistita – ormai non esiste più; ma allora come affermare la sua esistenza attuale? Per rispondere a questa obiezione, si può mostrare che chi la formula si stringe in un dilemma. Difatti, delle due l’una: chi avanza l’obiezione, o argomenta per sostenerla, oppure non argomenta.

  • Se l’obiettore non argomenta, allora propone la sua tesi senza portare alcuna prova che la convalidi; ma senza prove, non siamo tenuti a credere alla verità della sua affermazione (a meno che non sia la nostra fidanzata, o non ci stia minacciando con il manganello, o entrambe le cose). Inoltre, non ha davvero negato nulla. Difatti, alla sua asserzione se ne potrebbe contrapporre un’altra contraria: «La filosofia non è morta». E si potrà farlo senza prove! – perché, come pare sostenesse Euclide: «Ciò che si afferma senza prove, si nega senza prove». Da un punto di vista razionale, quindi, le due affermazioni si equivarrebbero: un valore nullo. Così, l’obiezione potrebbe contare come espressione di un’ispirazione poetica o di un atto di fede religioso, di un’estasi mistica o di una semplice preferenza “epidermica”: a qualcuno piace di più affermare la morte della filosofia; altri, invece, preferiscono diagnosticarne la buona salute. Ma come la mettiamo con le visioni mistiche e le “questioni di pancia”?
  • Se l’obiettore argomenta, ha una domanda precisa, una risposta chiara e una giustificazione razionale; dunque sta facendo filosofia – per la precisione, metafilosofia. In questo caso, se vuole evitare l’insignificanza razionale come chi non argomenta, l’obiettore è costretto a presupporre, per l’intero processo del suo ragionamento, l’esistenza di ciò che vorrebbe negare: per confutare la filosofia deve pur filosofare! Asserire l’inesistenza della filosofia argomentando, vorrebbe dire infilarsi in un argomento che potremmo chiamare “argomento del re morto”. Come recita il famoso motto popolare: «Il re è morto, lunga vita al re!»; così in questo caso l’obiettore potrebbe esclamare: «La filosofia è morta, lunga vita alla filosofia!»

Argomentare la “morte” o “fine” della filosofia implica assumere una posizione (meta)filosofica netta e piuttosto impegnativa: la critica razionale della filosofia non si può fare altrimenti che filosofando. Sembra che Aristotele avesse rilevato lucidamente tale paradosso, quando nell’opera Protreptico scriveva che in entrambi i casi si deve filosofare: sia che la filosofia esista, sia che la filosofia non esista. Difatti, se la filosofia non esiste, dobbiamo cercare perché la filosofia non esiste – ma così facciamo filosofia. Insomma, per decidere di non fare filosofia, bisogna pur sempre fare filosofia.

Senza dubbio, Aristotele aveva ragione a sostenere che per provare l’inesistenza della filosofia è necessario filosofare; ma provare l’inesistenza della filosofia non è necessario. Si potrebbe ammettere tale assenza d’esistenza come una dichiarazione poetica, religiosa o mistica. Però una cosa pare certa: proclamare la “fine” o “morte” della filosofia filosofando, significa lasciar rientrare dalla finestra ciò che si era cacciato dalla porta.

In conclusione, chi obietta all’esistenza della filosofia annunciandone la morte, o argomenta (ma allora scambia per defunto ciò che vivo e vegeto), oppure non argomenta (ma allora non ci fornisce ragioni per credergli). Così, anche la seconda obiezione all’esistenza della filosofia non regge.

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