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Linguaggio e comportamenti linguistici: tra intenzionalità e funzionalità sociale (2)

Linguaggio e comportamenti linguistici: tra intenzionalità e funzionalità sociale (2)

Mar 10

 

Articolo precedente: Linguaggio e comportamenti linguistici: tra intenzionalità e funzionalità sociali (1)

 

Sicuramente per parlare di intenzionalità comunicativa dovremo trovare anche una motivazione al segno in questione, ma una delle tesi che oggi viene data per assodata dagli studiosi è quella secondo cui le lingue umane siano fatte di segni arbitrari: svincolati da una qualsivoglia motivazione. Per approfondire la nozione di arbitrarietà dobbiamo sviluppare le possibili motivazioni che possano mettere in relazione il segno con un qualunque oggetto. Per fare ciò basta ricorrere alla tripartizione di Peirce:

  • indici: segni motivati naturalmente, correlati da leggi di natura; nuvole = segno di pioggia o cattivo tempo;
  • icone: segni motivati analogicamente, correlati da somiglianze o similitudini con l’oggetto a cui fanno riferimento; onomatopee → chicchirichì = gallo;
  • simboli: segni che non hanno motivazioni che li correlino a ciò cui si riferiscono, sono meramente arbitrari.
    Per esempio,

si dice che l’unico motivo per cui, poniamo, gli italiani si riferiscono ai cani con la parola “cane” piuttosto che una qualsiasi altra è una “semplice convenzione“. [4]

Chiaramente Peirce non esaurisce la molteplicità e il gran numero di segni intenzionali, poiché sono raffigurabili come intenzionali sia le icone che i simboli: è il soggetto che ne determina la funzionalità intenzionale. Per esempio nel caso degli indici, lo sbadiglio è un segno comunicativo emblematico: se l’interlocutore tarda a comprendere la mia stanchezza, potrei segnalarla simulandone uno. Dunque i segni verbali sono arbitrari, mentre quelli intenzionali possono essere sia arbitrari sia motivati e lo possono essere perché convenzionali.

Non a caso si parla di convezione, in quanto, secondo le tesi di Lewis ad esempio, il linguaggio sia analogo ad altri fenomeni di coordinazione sociale:

A nessuno dei parlanti importa che si scelga un segno piuttosto che l’altro. L’importante è che i segni assolvano allo scopo della comunicazione e perché ciò avvenga, occorre che i segni che uno adotta siano gli stessi che adottano gli altri. [5]

Dunque se la relazione di significazione è arbitraria, è necessaria una qualche forma di coordinazione sociale. Gli individui dovranno quindi adottare abitudini che avranno il fine di rendere possibile e concreto un agire sociale, collettivo.

Questo è, in definitiva, una convenzione: complesso di abitudini individuali che però non sono lasciate al capriccio dell’individuo, bensì devono accordarsi con le abitudini degli altri membri della collettività. [6]

Anche Saussure sostiene che la lingua, essendo sottratta all’arbitrio del singolo, diviene un fatto sociale, ma la nozione di convenzione risale addirittura al De Interpretatione di Aristotele, il quale parlerà appunto di kata suntheken (nome secondo convenzione) e kata fusei (nome secondo natura) [7]. Per Aristotele, il carattere convenzionale delle lingue umane deriverebbe più da un consenso sociale che non per un mero accadimento di natura. Anche se, come fa notare Lo Piparo nel 2003, non è escluso che i commentatori abbiano commesso un errore nel valutare quel kata suntheken come semplice “per convezione” contrapposto al “nome per natura”, fusei. Leggendo il greco antico il corrispondente al termine “convenzione” è thesei, il quale neppure è rintracciabile tra i sinonimi dell’espressione sopracitata.

Si affaccia l’idea che Aristotele abbia voluto compiere un’analisi molto più complessa al fine di contrapporre il linguaggio articolato e combinato secondo regole ben definite di sintassi, quello umano, a quello inarticolato e mero prodotto istintuale delle bestie. In ogni caso è certo che, in parte, i primi commentatori del testo aristotelico avessero ragione, poiché le lingue umane per essere considerate convenzionali devono poggiare su un consenso sociale. Questo non vuol dire che tra uomini ci siano forme contrattuali, al contrario, la convenzione su cui poggiano le lingue non è un accordo esplicito che si esplica tramite un “contratto sociale”, un contratto tra individui. John Searle, nel 1996, parlò di fatti istituzionali [8]. Ci sono entità dotate di una modalità di esistenza indipendente dalle interazioni umane. Ma un’entità come la lingua esiste esclusivamente nella misura in cui c’è l’intenzione di un singolo o un gruppo di individui di agire in conformità ad essa. Una lingua è una regola, una norma, implicita di comportamento che si realizza concretamente nelle abitudini degli individui che la attuano.

Note

[4] M. Mazzone, cit., pag. 23.

[5] M. Mazzone, cit., pag. 26.

[6] M. Mazzone, cit., pag. 26.

[7] Aristotele, De Interpretatione, 16a 2b 9, trad. di M. Zanatta, BUR 1996.

[8] J.R. Searle, La costruzione della realtà sociale, Einaudi, 2006.

 

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