Temi e protagonisti della filosofia

Platone, Critone (6)

Platone, Critone (6)

Mar 04

 

 

Brano precedente: Platone, Critone (5)

 

SOCRATE Argomento dunque il seguito, o meglio chiedo: bisogna fare le cose che qualcuno riconosce esser giuste concordando con qualcun altro oppure bisogna ingannare?

CRITONE Bisogna farle.

SOCRATE Considera dunque gli esiti di queste assunzioni. Noi, andandocene da qui senza [50a] aver persuaso la città, facciamo del male a qualcuno, e lo facciamo a coloro ai quali si dovrebbe farne di meno, o no? E rimaniamo saldi in ciò che abbiamo concordato essere giusto o no?

CRITONE Io, o Socrate, non ho modo di rispondere a ciò che chiedi: ecco, non intendo.

SOCRATE Ma allora ispeziona così. Se mentre noi stiamo per svignarcela da qui, o come si deve denominare questo, venute le leggi e la comunità della città, standoci davanti chiedessero: «Dimmi, o Socrate, che hai in mente di fare? A che altro [50b] pensi con questa azione che intraprendi se non a rovinare noi, le leggi, ed in complesso tutta la città per la parte che ti tocca? O ti sembra possibile che ci sia ancora e non sia sovvertita quella città in cui le sentenze emesse non vigano ma, ad opera di privati, divengano invalide e siano distrutte?». Che risponderemo, o Critone, a queste domande e ad altre di tal sorta? Qualcuno, specialmente un retore, avrebbe molte cose da dire su questa legge rovinata che dispone che le sentenze passate in giudicato [50c] siano valide. O risponderemo loro che la città, ecco, ha commesso ingiustizia contro di noi e non ha decretato una sentenza corretta? Risponderemo questo o che cosa?

CRITONE Questo per Giove, o Socrate.

SOCRATE Che risponderemmo quindi se le leggi dicessero: «O Socrate, anche questo era stato concordato tra noi e te, oppure di rimanere saldi nelle sentenze che la città pronunci?». Se quindi ci stupissimo dei loro discorsi, forse potrebbero dire ciò: «O Socrate, non stupirti di questi discorsi, ma rispondi, poiché appunto sei solito usare quesiti e risposte. Forza dunque, reclamando che cosa [50d] contro di noi e la città tenti di rovinarci? In primis, non ti abbiamo generato noi, e mediante noi tuo padre ha sposato tua madre e ti ha fatto nascere? Dichiara quindi, a quelle di noi leggi pertinenti al matrimonio rimproveri in qualche modo di non andare bene?». «Non le rimprovero», direi allora. «Ed a quelle pertinenti all’allevamento della prole ed all’educazione nella quale anche tu sei stati educato? O le leggi tra noi preposte a questo non hanno disposto bene, comunicando a tuo padre [50e] di educarti nella musica e nella ginnastica?». «Hanno disposto bene», direi allora. «E sia. Poiché dunque sei stato generato ed allevato ed educato, avresti modo di dire, in primis, che non sei nostro figlio e schiavo, tu ed i tuoi progenitori? E se le cose stanno così, credi tu forse di avere eguale diritto verso di noi e le cose che noi tentiamo di fare a te credi che sia tuo diritto contraccambiarle a noi? O forse, mentre verso tuo padre non avevi eguale diritto, ed anche verso un padrone, se si desse il caso che ne avessi uno, così da poter contraccambiare le cose che patissi, [51a] né di replicare se oltraggiato né di percuoterli se percosso, e così via, invece verso la patria e le leggi ti sarà possibile, cosicché, se noi tentiamo di rovinarti ritenendo sia giusto, anche tu poi tenterai, per quanto potrai, di rovinare contraccambiando noi leggi e la patria ed affermerai di agire giustamente facendo questo, tu che veramente ti occupi della cura della virtù? O sei così sapiente che non ti sei accorto che più della madre e del padre e di tutti quanti gli altri progenitori la patria è degna d’onore e [51b] venerabile e santa e degna di maggior considerazione sia presso gli dèi sia presso gli uomini che hanno senno, e che si deve venerare e soggiacere alla e blandire la patria indurita più di quanto si faccia col padre, e o persuaderla o fare qualunque cosa comandi, e patire mantenendo la serenità se dispone che si patisca qualcosa, sia essere percossi sia essere incatenati, e se conduce in guerra a essere feriti o a morire bisogna farlo, e così è giusto, e non bisogna né sottrarsi né spostarsi né lasciare la posizione, ma sia in guerra sia in tribunale sia dappertutto bisogna fare qualunque cosa comandi la città e la patria o [51c] persuaderla di come sia fatto il giusto; non essendo dunque pio far violenza né alla madre né al padre, non lo è ancora meno farla alla patria piuttosto che a loro?». Che risponderemo a queste parole, o Critone? Che le leggi dicono il vero o no?

CRITONE A me, ecco, sembra di sì.

 

Brano seguente: Platone, Critone (7)

 

 


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